Al lume di una candela tutto cambia. Per secoli ha squarciato – sommessamente – le tenebre notturne, prolungando le ore di veglia. I romani costruivano candele con papiro intinto nel sego, i cinesi con grasso di balena, gli indiani le ricavavano dai frutti del cinnamomo e le bruciavano nei templi. Finché, nel Seicento la candela assunse un ruolo da protagonista anche nella pittura. Pensionata dall’arrivo della luce elettrica, la candela, per la sua luce caravaggesca e il profumo che spande intorno a sé, ha però vissuto un gran ritorno negli ultimi decenni. Anche se c’è chi di fare candele non ha mai smesso.
Una storia francese
Passaggi di mano, 379 anni di attività, quattro sedi, un viaggio da Parigi alla Normandia. Mentre si susseguivano rivoluzioni, guerre mondiali, un impero e cinque repubbliche, la produzione di candele Trudon non si è mai arrestata. Il segreto? Secondo il direttore creativo Julien Pruvost «ci siamo sempre adattati ai tempi, evolvendo continuamente». Al centro di tutto c’è la formule, la cera vegetale a base di olio idrogenato di colza con cui è realizzata la maggior parte delle candele. Dall’anno scorso è sparita dalla “ricetta” la tradizionale cera d’api. Le ragioni? «Per una qualità della materia prima che non ci soddisfaceva, ma anche per il benessere delle api, che per produrre cera sono sottoposte ad allevamenti intensivi, e per la carbon footprint dei trasporti: la gran parte della cera d’api viene dall’Africa e dalla Cina. Il prossimo step sarà eliminare la percentuale di paraffina ancora presente e passare a un olio di colza, che è già biologico e di provenienza europea, al 100 per cento francese».
Dalla città alla campagna
Chissà se Claude Trudon se lo sarebbe immaginato, quando nel 1643 acquistò il negozio di Rue Saint-Honoré a Parigi dove incominciò a vendere spezie e candele, realizzate con quella cera d’api tanto preziosa da essere riservata a nobili e clero e priva del cattivo odore emanato dal sego, che è un grasso di origine animale. Le operazioni, nel 1702, si spostarono ad Antony, fuori Parigi, a opera di Michel Brice Péan de Saint Gilles, che nel 1719 ottenne per la sua Manufacture lo status di Royale. Era l’unico a produrre candele per la corte, che spesso però dimenticava di pagare: così Saint Gilles fece bancarotta e l’azienda tornò a un Trudon: Jérôme. Fu lui a ideare il motto “Deo Regique laborant” ovvero “Lavorano per Dio e per il Re”, riferito alle api. Furono poi i fratelli Carrière, ciriers da generazioni, ad acquisire la manifattura e a portarla nel 1901 in Normandia, a Mortagne-au-Perche dove è tuttora.
Ognuna diversa dalle altre
Mortagne è un bel paese con le case bianche a uno o due piani tipiche del Nord della Francia. Qui una quindicina di operai realizzano, per la gran parte a mano, le candele profumate Trudon. Alcuni degli attrezzi, come il pistolet, una sorta di imbuto di ferro dal quale esce la cera liquida e bollente operato con temeraria maestria da Sylvie, sono molto simili a quelli usati nel XVII secolo. Ogni fragranza, aggiunta alla cera appena prima di essere versata nel contenitore per mantenere intatto il profumo, è un viaggio nello spazio e nel tempo: dalle brughiere scozzesi con le loro erbe alle montagne del Marocco che evocano tè, zenzero e menta, dalla villa Cyrnos dell’imperatrice Eugenia in Costa Azzurra, che vive di note di lavanda, fico, cedro e pino, fino al cuoio e tabacco di un hotel de L’Avana.
Il vetro che contiene le candele è realizzato, sempre a mano, a Vinci, in Toscana, ed è ispirato alla forma di un secchiello da champagne, come ci racconta Pruvost facendoci notare con malcelato orgoglio i bordi irregolari. Il che rende ogni candela diversa dalle altre. Noblesse oblige. Non solo: ogni candela è datata (andrà accesa entro diciotto mesi) e firmata con il nome di chi l’ha realizzata. Il prossimo obiettivo è la transizione ecologica. Anche se «cambiare per una azienda storica non è semplice, va fatto un passo alla volta». E le api tornano in altro modo a far parte del processo.
Meglio proteggerle che sfruttarle
Dal 2018 la Maison Trudon sostiene il Conservatoire de l’Abeille Noire de l’Orne, con il 4 per cento delle vendite di ogni candela della linea Cire. Endemica, la sottospecie Apis mellifera mellifera, resistente e longeva, oggi è minacciata dai cambiamenti climatici e dall’apicoltura intensiva che ha introdotto nuove specie. «Senza il nostro aiuto è destinata a scomparire nel giro di quindici anni», dice il presidente del Conservatoire Raymond Daman, aspetto da attore francese anni Cinquanta e tenacia da vendere. Con centosessanta alveari in un raggio di sette chilometri, il Conservatoire intende garantire la diversità genetica delle api nere e condizioni ambientali il più possibile simili a quelle di origine. Insomma, dopo secoli in cui hanno lavorato per noi, per dio e per il re, siamo noi oggi a dover lavorare per la loro sopravvivenza. Una candela alla volta.