Il volto dell’altroQuel momento inaspettato che scardina un passato cristallizzato

Dopo “In compagnia della tua assenza“, Colette Shammah torna con “Dietro la porta chiusa“ (La Nave di Teseo). Un romanzo sulla memoria, i silenzi famigliari e il potere curativo delle parole, che vede protagoniste le solitudini di Thöby, Vittoria e il commissario Roberto Lumis

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Era tardi quando si alzò per bere. Non un soffio di vento, un’immobilità speculare alla sua gli dava malessere. Nel frigorifero non c’era nulla di commestibile, soltanto muffa precoce, bottiglie di birra iniziate, un limone che pareva una faccia tonda di cotone biancastro.

Aveva bisogno di acqua, non quella fetida dei rubinetti, non tiepida, un bicchiere di acqua fredda, magari gassata. Thöby chiuse il frigorifero e si diresse verso il divano dove giacevano dei pantaloni e una camicia a maniche corte. Si vestì, prese le chiavi di casa e uscì nell’umido della città. Scese lentamente i tre piani di scale appoggiandosi al corrimano sporco e raggiunse il portone, aperto come al solito. Nonostante il corpo snello e giovane, sembrava un vecchio.

Erano circa le cinque del pomeriggio, il sole era ancora alto nel cielo e Thöby chiuse le palpebre per evitare il contatto brutale con la luce del giorno. In casa teneva spesso le imposte chiuse e le tende tirate. Erano passati ormai anni da quando aveva rinunciato a cercare l’uscita, legato com’era alla paura. Nemmeno sapeva più darle un nome. Attraversò il marciapiede per poi raggiungere una vetrina che separava un bancone spoglio da qualche tavolino disposto in malo modo all’esterno. Un bar in tono col quartiere.

Thöby fu di poche parole, chiese una bottiglia di acqua minerale fredda, “molto fredda se possibile”, pagò e con la bottiglia in mano che già lo rinfrescava, si diresse verso casa. Non incontrò nessuno. Ogni passo sembrava una bracciata in un mare di vapore. D’un tratto una nausea attaccaticcia si impadronì di lui. Non si stupì, il suo corpo non si lamentò, bastava camminare lentamente, pochi passi e sarebbe stato di nuovo a casa. Non che cambiasse molto, a parte la fatica di stare in piedi e quella di dover camminare.

In passato ne aveva viste di peggio, malgrado la sua giovane età, aveva dovuto fermarsi in posti improbabili quando le voci lo rincorrevano anche da fermo, quando lo sguardo si faceva strabico per la tensione che provava nel dover decidere dove andare e perché.

Nell’androne, notò sopra le cassette della posta una busta di media grandezza con al centro la scritta “Comando di Polizia locale” e sotto, il suo nome ben chiaro in una calligrafia grande: Thöby Micael Martin. L’insieme gli fece tornare quel tic alla guancia sinistra proprio sotto l’occhio, un tremore che lo aveva disturbato per mesi e che sembrava gli fosse passato. Thöby Micael Martin, era indirizzata a lui, eppure non l’aveva vista mentre scendeva.

Con la busta tra le mani magre, la schiena leggermente curva, osservò il vuoto per un intero minuto prima di salire le scale. Sapeva che la debolezza lo rendeva indifferente a tutto, ed era per questo che le si arrendeva volentieri. Eppure, quell’avviso così in vista lo avrebbe notato scendendo, ne era quasi sicuro.

In quei dieci minuti di tragitto da casa al bar il postino doveva aver lasciato la busta sopra le cassette della posta. Lo aveva mancato per un niente; è così che non succedono le cose, è così che succedono. Quel pensiero lo aveva sorpreso e reso nervoso; si guardò intorno come se potesse esserci qualcuno.

Si disse che avrebbe aperto la busta una volta arrivato in casa. Si sarebbe seduto con un bicchiere d’acqua in mano e avrebbe letto.

Una volta presa la decisione, la nausea evaporò. Si sentì travolgere da cupi presagi. In verità non c’era tanto da decidere se aprirla o no. Eppure una voce gli diceva che doveva buttarla nella pattumiera. Perché? Per il solo fatto che la busta gli procurava disagio. Ricordi, che mischiati alla solitudine, avrebbero amplificato il suo smarrimento. E poi non era in grado di sentirsi tranquillo.

Tre piani di scale, il corrimano sporco, il corpo stanco, il cervello spaventato. Ne aveva l’abitudine, si consolò. Ma quella busta pesava. La sua sola presenza dava il via a un tempo nuovo, un incontro con qualcosa che lo riguardava da vicino. Forse no. Comunque già così Thöby sentiva l’avvicinarsi di mille pensieri e la solita domanda: dove sto per andare?

Da “Dietro la porta chiusa“, di Colette Shammah, La Nave di Teseo, 272 pagine, 17,10 €.

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