Ankara tuL’Ue ha bisogno della mediazione di Erdogan con Putin, ma teme l’espansione turca nel Mar Egeo

L’Europa deve favorire il ruolo del presidente turco per costruire un dialogo tra Mosca e Kyjiv, ma allo stesso tempo è obbligata a schierarsi totalmente a fianco della Grecia e di Cipro per tutelare il loro diritto di sfruttare i campi metaniferi nel Mediterraneo orientale

LaPresse

Emmanuel Macron continua a telefonare invano a Vladimir Putin alla ricerca di una mediazione per la guerra in Ucraina e non ottiene nulla. Il mediatore potenziale tra Russia e Ucraina infatti è stato e continua a essere solo Tayyp Erdogan, come ha dimostrato risolvendo l’intricatissima partita della fine del blocco delle navi cariche di grano dell’Ucraina. 

È bene dunque, soprattutto per l’Europa, mettere a fuoco le ragioni che permettono all’autocrate di Ankara di avere credito sia a Kyjiv che a Mosca perché in realtà il suo rafforzamento sulla scena internazionale può creare non pochi problemi alla comunità europea. 

In estrema sintesi, Erdogan è ben visto da Volodymyr Zelensky perché fornisce all’Ucraina armamenti strategici, tra i quali gli efficientissimi droni Bayraktar e ha chiuso il Bosforo al passaggio di navi militari russe, impedendo tra l’altro l’arrivo dal mar Baltico di una flotta che sostituisca lo strategico incrociatore Moskva, affondato dagli ucraini. Ma Erdogan ha anche eccellenti entrature e rispetto al Cremlino grazie a una spregiudicatissima politica di apertura alla Russia. 

Infatti, non solo la Turchia non applica alcuna sanzione economica contro Mosca, pur essendo membro della Nato, ma addirittura, sin dall’inizio delle ostilità, ha offerto a Putin sia la possibilità di essere utilizzata per il fondamentale ruolo di hub alternativo sia per le esportazioni triangolate – e illegali – dalla Russia, sia per le importazioni. 

Nei fatti, Erdogan offre al Cremlino il suo paese per eludere il più possibile le sanzioni. Inoltre, negli ultimi sette mesi si sono grandemente incrementati gli scambi economici tra Ankara e Mosca, tanto che molti oligarchi russi hanno preso la residenza sulle rive del Bosforo.

Da questo complesso e ardito gioco di equilibri nasce l’indispensabile e unico ruolo di mediazione tra Russia e Ucraina che Erdogan si è conquistato. Ma il presidente turco, in grandissima difficoltà sul fronte interno a causa di una crisi economica devastante – l’inflazione è al 78% e il Pil pro capite in cinque anni è crollato da 10.426 dollari a 7.418, segno di un impoverimento radicale della popolazione – si muove con pari spregiudicatezza anche sulla scena mediorientale. 

Dopo anni di tensioni massime con Israele – pienamente schierato con Hamas a Gaza – Erdogan ha offerto un ramoscello d’olivo a Gerusalemme e ha ripreso regolari e fruttuose relazioni diplomatiche ed economiche con lo Stato ebraico. Contemporaneamente ha pacificato e ripreso relazioni amicali piene con l’Arabia Saudita, per anni avversario diretto e polemico di Erdogan per l’egemonia nel mondo sunnita, così come con tutti i paesi del Golfo. Ma su un fronte Ankara non ha modificato la sua politica aggressiva e destabilizzante, ed ciò che più inquieta l’Europa: il Mediterraneo orientale e quindi lo sfruttamento degli enormi e nuovi giacimenti di metano attorno a Cipro.

Forte del suo nuovo radicamento militare nel Mediterraneo centrale, grazie alla forte presenza in Libia, là dove i suoi generali, la sua aviazione, i suoi consiglieri militari e la sua flotta sono il perno e la garanzia centrale sui quali si regge il governo di Tripoli di Mohammed Dbeibeh (riconosciuto dall’Onu), Erdogan continua a minacciare la Grecia nel Mar Egeo. 

Il fulcro della tensione di questi giorni riguarda l’isola di Kastellorizo (nella quale fu girato il film Mediterraneo) e le altre isole a sovranità greca che distano pochissime miglia dalle coste turche. Erdogan minaccia di volerle riprendere alla Turchia e considera una provocazione gli insediamenti militari e i voli sui loro cieli dell’aviazione greca. Di fatto, una tensione strumentale che concerne non tanto la sovranità su queste isole, di scarsissimo rilievo strategico, ma in realtà il controllo turco dell’Egeo e quindi lo sfruttamento degli immensi campi metaniferi attorno a Cipro.

In queste ultime settimane la tensione tra Grecia e Turchia si è di nuovo arroventata al calor bianco, tanto che il 4 settembre Erdogan ha così sfidato Atene: «Ehi, Grecia, guarda alla Storia: se vai oltre pagherai un prezzo pesante. Quando arriverà il momento faremo ciò che è necessario. Basta violazioni nell’Egeo! Potremmo arrivare di notte, all’improvviso». Un chiaro e minaccioso riferimento alla sanguinosa guerra greco-turca del 1922 che si concluse con una rovinosa e poco onorevole sconfitta di Atene.

L’Europa dunque, se da una parte deve accettare e favorire il ruolo di mediazione di Erdogan tra Mosca e Kyjiv, che rafforza enormemente il prestigio e il peso internazionale dell’autocrate di Ankara, dall’altra parte non può che schierarsi totalmente a fianco della Grecia contro la Turchia non solo per ovvie ragioni geopolitiche di solidarietà europea, ma anche per solide motivazioni energetiche. Non è un caso infatti che le prospezioni e lo sfruttamento dei campi metaniferi di Cipro e dell’Egeo vedano in prima fila l’italiana Eni e la francese Total.

Dunque, un gioco di incastri e di equilibri geopolitici estremamente complesso che ha in palio l’egemonia europea o turca sul Mediterraneo Orientale. Una partita strategica.

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