«Ci vuole qualcuno che torni a difendere e proteggere confini, leggi, forze dell’ordine e sicurezza in Italia. Qualche idea ce l’abbiamo». Nel gioco delle parti in scena da domenica scorsa ecco Matteo Salvini che dopo la batosta della Lega si mette la congeniale maschera del “cattivo”, scavalcando a destra una Giorgia Meloni improvvisamente e innaturalmente silenziosa e mite.
Nuovi sbarchi in Calabria, un’occasione d’oro per il vecchio sceriffo caduto da cavallo e ora in cerca di nuove avventure: «Difendere i confini», che bella missione per uno che vorrebbe e non potrà fare il ministro dell’Interno ma che probabilmente sarà un «ministro ombra» che veglierà sul Viminale, dove potrebbe finire il suo il capo di gabinetto Matteo Piantedosi, molto apprezzato dal capo leghista quando era titolare dell’Interno nel Conte 1.
Potrebbe insomma essere il vero ministro dell’Interno senza esserlo formalmente, le critiche se le prenderebbe Piantedosi, i meriti lui: che statista eh? E dunque rieccolo, come il mitico Fortebraccio ribattezzò Amintore Fanfani in una delle sue varie rinascite politiche, rieccolo Salvini emergere dal compromesso di via Bellerio dove è stato confermato leader ma anche criticato per via di quello striminzito 8% di domenica contro il 34% delle Europee di tre anni fa, rieccolo col suo volto di destra – anzi: estrema destra – basta col “giorgettismo” in asse col draghismo, è giunta l’ora di (ri)fare la faccia feroce dei bei tempi e soprattutto di competere con Giorgia scavalcandola a destra.
Il giochino, per nulla raffinato (stiamo in fondo parlando di Matteo Salvini), sembra tanto più facile in quanto la leader di Fratelli d’Italia appare e apparirà sempre più come una moderata, nel senso che non farà nulla di particolarmente eclatante, svolgerà il compitino diligentemente come un’alunna che passa dalle elementari alle scuole medie.
È probabilmente dal suo giro che si è messa in giro la dicerìa di una specie di sintonia con Mario Draghi, uno dei migliori economisti del mondo, una solfa che cerca di accreditare lei a momenti come un’allieva del presidente del Consiglio in carica, il quale – ha scritto Repubblica, smentita con un certo fastidio da palazzo Chigi – avrebbe stretto un “patto” con colei che ne prenderà il posto.
Tutto fumo per far capire all’Europa e agli ambienti economici che contano che lei, Giorgia, non produrrà i disastri che la sua inesperienza potrebbe causare. Dovrà fare uno sforzo enorme per accreditarsi, la Meloni, mentre i suoi già scalpitano in cerca di protagonismo, e gli “alleati” tipo Salvini che giocheranno a rubarle la scena.
Un ginepraio dal quale non sarà agevole districarsi – è la politica italiana fatta dal governo e non dai comodi banchi dell’opposizione – una prova anche per i nervi della giovane leader catapultata al governo di un grande Paese senza aver amministrato nulla in passato che non fosse un inutile ministero della Gioventù.
La recita non è nemmeno cominciata e già saltano i ruoli e la regia, mentre è iniziato il grande Monopoli del potere e degli incarichi, con Giorgia che concede molto, anche perché non può fare altrimenti, ieri ha visto Salvini e tutto sembra filare liscio.
Ma non ci aspetta nessuna rivoluzione dalla premier in pectore, nessuna “decisione irrevocabile”, nessuna svolta storica, anche perché lei sa che al Senato, per dire, ha 113 seggi, solo 13 in più per fare maggioranza: basta poco per andare sotto in qualche votazione. Con questi numeri a occhio e croce la rivoluzione è rinviata a data da destinarsi.