Fin da piccoli siamo abituati al fatto che ci sono persone con cui non andiamo d’accordo, e sappiamo anche istintivamente come comportarci: evitiamo il più possibile gli antipatici e ci concentriamo sui nostri amici.
Storicamente è sempre stato così. Oggi però i social media portano questo effetto di esclusione a nuove vette: non solo ci permettono di non incontrare virtualmente chi non ci piace, ma addirittura ci consentono di annullarlo, di escluderlo per sempre dal nostro pubblico.
Questo fenomeno è alla base delle cosiddette echo-chambers, le “stanze dell’eco”. Ci capita di leggere un commento che non ci piace per niente? La nostra reazione sempre più spesso non è rispondere, anche con toni accesi, ma chiudere il contatto con quella persona.
Il fenomeno si può spiegare bene con il modello delle reti. In una rete connessa si possono scambiare messaggi tra punti qualsiasi utilizzando tutti i nodi intermedi necessari; questo è esattamente ciò che accade, per esempio, quando usiamo la posta elettronica.
Ma se cominciassimo a eliminare i collegamenti verso un particolare server perché il suo amministratore ci sta antipatico, allora la storia sarebbe molto diversa: in men che non si dica, la rete sarebbe ridotta a una serie di isole, senza traghetti che le colleghino.
Su social network come Facebook e Twitter possiamo farlo davvero: se un amico commenta criticando il rigore concesso alla nostra squadra e la cosa ci irrita al punto di non voler leggere più niente dello stesso tenore, ci basta eliminarlo dalla platea, senza che ciò comporti la nostra uscita dal social.
Ovviamente in questo modo rimarremo sempre più soli con gli altri tifosi della nostra squadra, e sarà difficile sapere ciò che pensano gli (ex) amici tifosi delle squadre rivali.
Ricordando il concetto di betwenness, è come se smantellassimo un ponte alla volta, magari partendo dai più importanti, tra quelli che collegano le isole di Venezia.
Prima avremmo i sestieri isolati e poi finiremmo con un arcipelago di isolette da cui non si può più uscire. In realtà questo procedimento – eliminare man mano gli archi per vedere dove sono i sottogruppi del sistema – abbiamo visto essere uno dei metodi alla base degli algoritmi che riconoscono la presenza di comunità all’interno di una struttura.
Si possono dare varie definizioni di questo concetto, che in generale ricadono in due tipologie: la comunità può essere definita dalle proprietà dei vertici, che non necessariamente impongono la creazione di legami all’interno della comunità stessa; oppure in base a come si addensano i sottografi (cioè i sottoinsiemi) del grafo della rete.
da “Senza uguali”, di Guido Caldarelli, Egea editore, 134 pagine, 17 euro