Le cose, si sa, cambiano. Vengono rimessi in discussione principi e idee, non si possono affrontare i mutamenti della modernità senza una visione coraggiosa e diversa. Non ci si può ancorare a ciò che viene travolto dai nostri tempi, né rimanere nell’incertezza, che sia il Covid, la guerra, il cambiamento climatico. Occorre posizionarsi in modo consapevole e trovare nuovi strumenti. Vi chiederete cosa c’entra il calcio in tutto questo, a fronte di questioni ben più serie che chiedono mutamenti di prospettiva a livello globale.
Prendiamo il discorso come una metafora per uno sport che anch’esso lancia nuove sfide e pretende una visione differente da prima. Certi stilemi non pagano più, sia a livello italiano che europeo. E tra poco anche mondiale. Che ci dicono il campionato di calcio e la Champions in questa prima tranche di interruzioni e riprese di attività? Molte cose. In primis che vince chi ha fatto una preparazione fisica molto ben programmata per l’inizio insolitamente anticipato della serie A. Le squadre che sono in testa corrono, le altre no. E tra queste due corazzate come Juventus e Inter.
È inutile parlare di tattica e schemi se si arriva sempre in ritardo su ogni pallone, se la mollezza delle gambe fa il paio, e non potrebbe essere diversamente, con la mollezza mentale. Mi chiedo come sia possibile che con gli specialisti, analisti e scienziati dello sport che monitorano con sofisticate apparecchiature le prestazioni atletiche, si possano commettere certi errori.
La crisi delle due grandi ha questo in comune, oltre a una impotenza societaria per vie diverse. Per la Juve è nelle scelte, per l’Inter una impossibilità economica piena di debiti. La Juve deve ricompattarsi come società e strategie che parevano inossidabili, Suning deve vendere al più presto per smettere di fare la parte del mendicante che chiede l’elemosina.
Poi subentrano altri elementi che peggiorano la situazione. I famosi sedici infortunati bianconeri sono la prova lampante di ciò che non va nel lato fisico, Allegri è costretto a mettere in campo giovanotti e arruolati. Non basta però a spiegare la mancanza di coesione, gioco e giusto atteggiamento della sua squadra, sfilacciata e irriconoscibile in giocatori di alto profilo. Probabilmente se Di Maria, un campione navigato, rifila una gomitata stizzita a un avversario e si fa espellere, il nervosismo e l’insoddisfazione sono già esplosi. Certe squadre blasonate faticano a capire la delusione e rimediarvi.
Il disincanto e lo sgomento hanno colpito anche l’Inter, costretta a ramazzare giocatori a fine contratto che liberano da costosi acquisti. Beppe Marotta, amministratore delegato che per un paio d’anni è mancato alla Juve, a Milano fa i tripli salti mortali per allontanare stipendi da capogiro (l’altra faccia degli arrivi a zero) per figure spompate e pronte al ritiro dall’attività agonistica, vedi Arturo Vidal, Radja Nainggolan, Alxis Sanchez, per cambiarli al dunque con altri senatori che non reggono novanta minuti.
I due allenatori poi sono tutt’altro che esenti da colpe. E infatti sono in discussione, direi giustamente. Certe formazioni iniziali e certe sostituzioni a gara in corso sono incomprensibili anche al tifoso meno preparato e agli stessi giocatori. Allegri è capace di togliere senza ragione l’unico attaccante in stato di forma, e far diventare Dusan Vlahovic un fantasma, Simone Inzaghi ha quel vizietto terrificante di richiamare subito in panchina chi prende un’ammonizione, senza tenere conto dell’andamento della partita. Salvo poi non sostituire il lamentoso Marcelo Brozovic prima dell’ammonizione e la conseguente squalifica.
Lo stato confusionale dei due comandanti è evidente, e altrettanto evidente è che le squadre non li seguono più. Seguire un allenatore è non mettere in discussione le sue decisioni, rispondere alle sue richieste su precise indicazioni di compito. Non perdere mai la fiducia in lui. Chi non crede più alle parole e alle idee di un tecnico per cui gioca può contestarlo apertamente, vedi i calci al seggiolino di Bastoni, o, per fargli pagare qualche torto, perdere l’anima facendo il minimo indispensabile.
A fronte delle due regine in crisi, c’è un tourbillion di compagini che stanno tentando il famoso nuovo approccio basato su pochi dettami che vengono dall’estero: velocità, pressing alto, intensità, coesione, immersi nella precisione tecnica. A volte ne funziona qualcuno, a volte un altro. Si spiega così l’altalena ai primi posti della classifica.
Il Napoli di Luciano Spalletti aveva cominciato benissimo anche lo scorso anno e poi aveva ceduto, vediamo se riesce a coniugare con brillantezza antico e moderno a lungo termine, avendo azzeccato due acquisti di cui si sapeva pochissimo che sostituiscono pilastri come erano Koulibaly e Lorenzo Insigne. Kim ci ha fatto scoprire che in Sud Corea vivono dei marcantoni e in Georgia folletti dal nome impronunciabile semplificato in Kvara che tendono al Messi-style.
E si spiega perché, pur modificando il gioco per variazione degli interpreti di prima, Gian Piero Gasperini è sempre lì con la sua Atalanta e Andrea Sottil, coraggioso neofita in serie A, fa vincere la sua arrembante e talentuosa Udinese.
Roma e Lazio sono sulla medesima altalena a bilanciere, sale una scende l’altra e Il Milan rimane ancora l’antesignano del gioco europeo che Sacchi continua a lodare, con giocatori di levatura in grado di svolgerlo. Paolo Maldini ha scovato e puntato sui giovani, ha vinto. Il simbolo della squadra rimane Calabria, tenace esterno molto migliorato negli ultimi anni, che mostra la lucentezza di un gruppo unitissimo: anche questa è diventata legge insindacabile.
In fondo è il vecchio Tutti per uno e uno per tutti, come l’altro detto ora in voga, Zitti tutti e pedalare. Peccato che il calcio non sia il ciclismo e ha talmente tante variabili da non riuscire a prevederle tutte.
È vero che la convinzione e la forza mentale contano ma fanno in fretta a scomparire quando perdi. Ed esistono anche le traverse, i pali, gli errori arbitrali (nonostante il pignolo Var ne capitano ancora) il miracolo del portiere. Già, i portieri, che abitano la propria solitudine e sono decisivi sempre nel male e nel bene. Ottimi i portieri italiani finora, Alex Meret, Guglielmo Vicario, Ivan Provedel, non a caso convocati da Roberto Mancini. Mike Maignan grandioso nel regalare al Milan il derby, davvero non granché lo statico Samir Handanovic, quando André Onana darebbe l’alternativa di più uscite su calci piazzati, e un lancio lunghissimo e millimetrico. Ma Simone Inzaghi traccheggia anche lì.
Tradizione e modernità ancora a confronto. Cambiare un allenatore ben pagato funziona male anche quando lui stesso va male. Tuchel è sparito in un nanosecondo dal Chelsea, si sa loro sono ricchi. Noi poveri e pavidi conserviamo. La chance a un giovane per carità, guarda come è finito Andrea Pirlo.
È così, siamo un paese non di vecchi ma per vecchi. Attenderemo la sosta mondiale, che sarà per tutti un’incognita. Le squadre che hanno pochi nazionali impiegati in Qatar potranno organizzarla nel migliore dei modi, le altre vivranno sul filo di veder tornare i propri calciatori stanchi morti o infortunati. Il vero campionato italiano comincerà dopo, per adesso vedremo sicuramente uscire qualche italiana dalla Champions, come al solito. Niente di nuovo, rimaniamo indietro.