Divini Siamo tutti Enologi brutti

Raccontano il mondo del vino in maniera irriverente, hanno un’identità nascosta e su instagram stanno costruendo una community di addetti ai lavori con meme e la giusta ironia. Ma fanno anche da tramite per lavorare nel settore

C’è un account Instagram intrigante nel mondo del vino, che da qualche anno si sta costruendo una solida reputazione nel mondo degli addetti ai lavori e che prende in giro bonariamente gli enologi e i cantineri, ironizzando sulla categoria e creando attenzione e cultura rispetto a un universo ancora poco conosciuto. Sono gli Enologi brutti, e mai nome poteva essere più azzeccato per questo gruppetto di addetti ai lavori che non vuole svelare la propria identità per mantenere la propria indipendenza, e racconta ogni giorno quali sono le fissazioni, le logiche e gli aspetti buffi di questo lavoro. Con un tocco di cattiveria e di ironia che conquistano anche noi non del mestiere, ma attenti e curiosi di capire meglio un settore sempre più interessante. Li abbiamo intervistati a distanza, senza poter sapere chi sono davvero, perché l’anonimato resta il loro mantra. Ma quando è iniziata l’avventura e perché? «L’avventura inizia durante il primo lockdown nella primavera 2020, ma è pura casualità. L’idea c’era già nel 2019. Nasciamo con l’obiettivo di comunicare in modo più tecnico e meno formale il mondo del vino rispetto ai wine influencer. Parliamoci chiaro: come si può dar credito a personaggi che passano le giornate a lanciare vino per aria?. Crediamo che il nostro punto di forza sia stata la nostra credibilità, che ci ha permesso di creare una community estesa in tutta Italia. La pagina ha subìto un’evoluzione nel tempo, ma gli obiettivi sono rimasti i medesimi».

La scelta di Instagram non è casuale: «Abbiamo scelto Instagram perché si tratta della piattaforma che riesce meglio a esprimere e concretizzare i nostri criteri di comunicazione: trattare l’enologia in maniera ironica e irriverente, rivolgendosi ai giovani enologi, ma anche agli appassionati che navigano su Instagram. Probabilmente molti di questi sono professionisti affermati, che speriamo mantengano un bel ricordo di noi. Nel tempo si sono aggiunti anche la pagina Facebook e il gruppo Telegram, però si tratta di piattaforme secondarie rispetto a Instagram».

Ovviamente la correttezza dei meme e la precisione nelle scelte semantiche ha convinto gli addetti ai lavori: «Siamo innanzitutto dei professionisti dell’enologia, ma ciò non toglie che nel team ognuno abbia la propria area di competenza: c’è chi si occupa di comunicazione, chi dei contenuti, chi dell’editing. Sicuramente non siamo professionisti della comunicazione, né social media manager, ma cerchiamo di dare sempre il massimo!».

Nessuna informazione sull’identità, ma almeno sappiamo che sono in tre i fondatori: «Per ora siamo in tre, i fondatori iniziali. Vogliamo mantenere l’anonimato sia per custodire un velo di mistero sulle nostre identità, sia per essere sempre liberi di esprimerci senza restrizioni legate alla nostra carriera professionale o ad altri aspetti che probabilmente ci porterebbero a limitare un po’ l’indole selvaggia della pagina. Chissà… se mai Enologi Brutti diventasse molto famoso come progetto, ci potremmo fare un pensiero». Con una grande riconoscenza rispetto ai follower più fedeli: «Enologi Brutti sarebbe niente senza i followers, anzi è merito loro se ora siamo arrivati a farci intervistare da qualcuno e non possiamo che ringraziarli dal primo all’ultimo, sia per i complimenti che per le critiche (sane e costruttive, si intende). I nostri followers sono molto fedeli, lo percepiamo dai messaggi che ci arrivano in privato che sono uno dei tanti motivi che ci spingono a proseguire. Detto questo, è normale che dalla pagina i followers vadano e vengano, non sempre si azzeccano i contenuti. Anche perché è praticamente impossibile mettere d’accordo tutti. L’importante secondo noi è riuscire a non snaturare il senso di Enologi Brutti per accontentare la massa, perché rischieremmo di omologarci alla comunicazione su cui facciamo satira».

 

Ovviamente non si sbilanciano sui nomi dei preferiti e assidui: «Fare nomi è sempre brutto. Moltissimi interagiscono con noi nelle storie o nei messaggi. Ci sono diversi che ci portiamo appresso fin dagli inizi, che non nominiamo, ma che sorrideranno nel caso in cui dovessero leggere l’intervista e che ringraziamo di cuore per averci dato la spinta iniziale a proseguire. Speriamo veramente che ogni follower si senta parte di questa realtà, ma chiaramente va abbastanza a cicli: chi ha appena scoperto la pagina è entusiasta dei contenuti, si congratula ed è più attivo, ma poi l’entusiasmo magari diminuisce, anche per come siamo abituati al mondo dei social. Fa parte del gioco». Nessuna preclusione invece sulla community: «Tutti i follower sono benvenuti, anche se alcuni wine influencer ci hanno addirittura bloccato pensando di farci un torto. Siamo seguiti da marchi di livello mondiale e da figure di fama internazionale nell’ambiente vino, e crediamo che vada bene anche così».

Come sempre, quello che succede online poi ha anche dei risvolti fisici: «È stato bello quando una nostra follower ci ha ringraziato in DM per averle dato la possibilità di conoscere persone su Instagram che poi ha portato offline con molto successo. Questo ci riempie di gioia e ci fa sentire utili». E naturalmente ci sono da affrontare anche gli hater: «Brutto di certo è stato quando un estremista di vini naturali ci ha insultato per un meme, ma la nostra community è intervenuta in massa a difenderci».

Ma il vero scopo della community non è solo quello di fare ironia su un settore: «Lo scopo è quello di creare una community affiatata e affezionata, non per il fatto in sé, ma a testimonianza del valore che portiamo alle persone. Credo che in parte ci siamo pure riusciti. Ma anche essere il punto d’incontro tra persone con gli stessi interessi, per far sviluppare relazioni direttamente tra di loro. Un altro ambizioso obiettivo è quello di istruire la community a valutare attentamente il tipo di comunicazione e a chi affidarla. Far capire alle aziende che pagare o regalare del vino ad alcuni sedicenti professionisti è solamente uno spreco di denaro. Anzi ci piacerebbe cogliere l’occasione per far riflettere coloro che danno la possibilità di accredito stampa e ingressi gratuiti (Vinitaly ed eventi correlati in primis) senza verificarne prima un reale beneficio a livello di introiti o competenze!».

Il tempo da dedicare al profilo è strappato al lavoro quotidiano: «Investiamo abbastanza tempo nel preparare i contenuti, ma ciò che è importante è essere sempre pronti per il materiale nelle storie o i repost. La vera forza di Enologi Brutti risiede proprio nell’interazione e nell’engagement. Nel prossimo futuro oltre che crescere su Instagram, ci piacerebbe implementare il canale Telegram, con la rubrica “Enologi Brutti obiettivo lavoro”, dove le aziende di tutta Italia potranno trovare spazio per pubblicare annunci di lavoro e contemporaneamente giovani enologi potranno trovare opportunità professionali».

E a proposito di lavoro tradizionale, chiudiamo con un accenno alla vendemmia, visto il periodo: «La vendemmia procede bene per ora, la stiamo seguendo in prima persona, ma non possiamo dire altro, altrimenti inizierebbe l’identikit da parte dei followers e trapelerebbero troppe informazioni, oltre che fedeli i nostri followers sono anche furbi per (s)fortuna».

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