L’ultimo giro della dittaI capicorrente appoggiano Schlein perché temono che Bonaccini cambi davvero il Pd

Il presidente della Regione Emilia-Romagna sa che non avrà il sostegno del gruppo dirigente nazionale, e lo rivendica, perché la sua piattaforma è in discontinuità con gli ultimi anni manovrieri del Nazareno

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La premessa di questo articolo è che la partita sia tutta tra Elly Schlein e Stefano Bonaccini (forse arriveranno anche Andrea Orlando o Dario Nardella, mentre Paola De Micheli e Matteo Ricci non sembrano avere possibilità di arrivare alle primarie) ma insomma pensiamo che quelli che hanno chances di diventare leader del Partito democratico siano questi due. A prima vista si direbbe uno scontro tra il nuovo e il vecchio, progetto contro tradizione. Depongono a favore di questa lettura innanzi tutto l’età – lei, 37 anni, lui 55 – e soprattutto la biografia politica: Schlein da sempre a sinistra del Pd, non è finora neppure iscritta, Bonaccini ha preso nel 1990 la tessera del Pci, poi Pds, Ds, Pd. Lei movimentista, lui quadro di partito. Esperienza e biografia internazionale contro radici contadine. 

Eppure, c’è da chiedersi se la partita tra i due sia davvero da leggere secondo le classiche lenti che dividono il mondo puramente e semplicemente in destra e sinistra, così, senza ulteriori riflessioni, senza valutare bene le conseguenze delle rispettive piattaforme (che peraltro devono ancora essere definite con precisione, per ora ci basiamo su un’intervista e su un annuncio). È uno stereotipo buono per certi talk show rappresentare questa come una sfida tra nuovo che avanza e Novecento.

Forse la vera grande differenza tra i due competitor sta nella finalità ultima della loro visione che per Elly pare essere quella della emersione di contenuti nuovi, o declinati in maniera nuova, mentre per il Governatore dell’Emilia-Romagna è innanzi tutto quella del governo. Si perdoni lo schematismo. Ma dal discorso col quale ieri Bonaccini ha annunciato la sua candidatura è emerso chiaramente che lo scopo della sua eventuale segreteria sarà quella di costruire una piattaforma di governo e un partito in grado di farla vincere alle prossime elezioni, sfidando la destra: è una prospettiva forse scontata ma chiara. 

In fondo un partito esiste per andare al governo, pare necessario ribadirlo dopo una campagna elettorale in cui Enrico Letta non aveva chiarito come volesse arrivarci. In questo quadro sono ritornate parole come riformismo e vocazione maggioritaria, recuperando l’ispirazione originaria del Pd prima maniera, quello che con il suo leader si proponeva di battere la destra attraverso un programma di riforme e risanamento del Paese. 

Bonaccini ha dato l’impressione di voler riportare il Pd sulla terra della politica intesa come virtuosa battaglia per il governo dopo le fumisterie politiciste e le manovre populiste e di potere degli anni di Nicola Zingaretti purtroppo non cancellate da Letta: ecco perché egli sa che non avrà «il sostegno del gruppo dirigente nazionale», perché la sua piattaforma è in discontinuità con gli ultimi anni “manovrieri” del Nazareno. E non ha torto.

Il centro di Dario Franceschini e Zingaretti, di Francesco Boccia e Marco Meloni appoggia Schlein non perché improvvisamente fulminato dalle sua idee sulla transizione ecologica o sulla sessualità ma perché vi scorge l’inciampo che può bloccare Bonaccini, il quale ha ben più di Elly gli strumenti e l’esperienza per fare piazza pulita non tanto delle correnti come aree politiche ma come filiere di potere (secondo una giusta distinzione che nell’Assemblea nazionale di sabato hanno fatto Lia Quartapelle e Marianna Madia). 

Se mettiamo insieme le due cose – partito di governo e lotta al correntismo – viene da dire che il Governatore per quanto possa sembrare paradossale è più di sinistra della sua giovane avversaria, la quale punta tutto sulla testimonianza del disagio e in generale su una lettura delle nuove contraddizioni che reca in sé un tratto di minoritarismo di sinistra proprio perché scollegata dalla prospettiva di governo e dunque dalla strategia utile per arrivarvi.

Può senz’altro darsi che sia vero quello che ha detto Schlein a Repubblica, cioè che «la sinistra non è riuscita ad anticipare le grandi trasformazioni che stanno spaventando le società.  L’aumento delle diseguaglianze, gli effetti sul lavoro delle innovazioni tecnologiche, l’emergenza climatica che mette a rischio il pianeta», ma siamo sempre ai titoli dei capitoli. Il lavoro, certo, ma la produttività, il merito, la concorrenza, la sicurezza? E sulle armi all’Ucraina? E quali alleanze politiche bisogna mettere in campo dopo il disastro del 25 settembre?

Bonaccini, che non sottovaluta, e senza demonizzarla, la concorrenza del Terzo Polo e di Conte, ha chiaro che bisogna agire su sé stessi, sul Pd: «Non deleghiamo ai Cinque Stelle di rappresentare la sinistra così come al Terzo Polo di rappresentare i moderati: il Pd nasce come partito di centrosinistra e questo spazio adesso ce lo andiamo a riprendere noi»: magari è troppo tardi e forse egli ripeterà gli errori dei suoi coetanei per una coazione a ripetere tipica della vecchia scuola comunista, ma la scommessa è concreta, laddove nei messaggi di Elly Schlein si avvertono un protagonismo fresco ma anche una rimozione dei temi più prettamente politici. 

Se essere di sinistra significa innanzi tutto – si passi l’ovvietà – battere la destra nella competizione per il governo, diremmo che Stefano Bonaccini almeno sulla carta è più di sinistra della sua ex vice in Regione Emilia-Romagna. A occhio e croce, questo dovrebbe essere l’orientamento degli iscritti, coloro che selezioneranno le candidature e manderanno i primi due alle primarie, laddove tutto è possibile.

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