Se c’è un vantaggio, uno soltanto, nell’essere una gatta nera, è quello di potersi nascondere in ogni buca, mimetizzare con il buio di un fosso o di una crepa nel muro. E così ho fatto pure stavolta, me la sono squagliata non appena ho sentito avvicinarsi passi pericolosi, anche se mi aspettavo di trovarmi davanti a uno solo di loro, e invece ce ne sono ben sette. Sette, capito? Sette umani, anzi sette umane, e dall’altra parte io soltanto, una povera gatta spaurita! Cantano, ballano, sono impazzite. Sei donne vestite d’oro e d’argento e una bambina vestita di pezze, e tra poco calerà il sole.
Questo significa una cosa precisa, che non mi piace per niente: sono finita in mezzo a un raduno di streghe. Non posso credere che sia successo proprio a me. So esattamente cosa accadrà: arriveranno quei tipi, gli inquisitori, le cattureranno tutte e le sbatteranno in galera, domani mattina le porteranno da qualche parte sottoponendole a uno di quei processi in piazza, le costringeranno a confessare e poi le bruceranno vive.
Sapete che c’è? Peggio per loro, vorrei sapere chi gliel’ha fatto fare di uscire di sera senza uomini. Ma che ne sarà di me, povera me? Mi troveranno, penseranno che io sia qui perché collaboro con loro, per quella inverosimile faccenda del demonio. Ahimè, mi toccherà la stessa sorte, e per colpa di quelle sconsiderate finirò arrosto anch’io. Sapevo che questa terza vita siciliana mi sarebbe costata cara. Sapevo che sarebbe finita malissimo. Sapevo che il millecinquecento era, sulla linea del tempo, il peggior secolo in cui rinascere. Sapevo che Palermo era una città pazza e pericolosa. Lo sapevo, ma non scegliamo noi gatti quando e dove reincarnarci, altrimenti non mi sarei ritrovata in questi pasticci.
Non posso neanche miagolare a voce alta, devo lamentarmi tra me e me, il mio piccolo silenzioso miagolio, un miagolio d’Arte, un miagolio artistico! Ma non riesco a frenarmi. Rivoglio la mia dea greca, i miei boschi silenziosi e amici. Rivoglio il mio Egitto, la mia sacralità. Invece sono nascosta nella crepa di un muro, devo tirare dentro la pancia per farmi più magra e starmene rannicchiata, devo respirare piano perché nessuno percepisca la mia presenza. E quelle, mentre io muoio di fifa, che fanno? Ballano, ballano. Ora però hanno smesso. Non si sente più niente. Devo cacciare fuori la testa per capire che succede. Lo faccio? Un attimo solo, pero`. Ecco, non c’è più nessuna, sono andate tutte via. Tutte, tranne una: la bambina col mantello è rimasta, sdraiata per terra. Dorme. O è svenuta. Oddio. Che succede?
Da Il cortile delle sette fate, di Nadia Terranova, Guanda, 192 pagine, 12 euro