Quando la resistenza ucraina riconquista città e territori strappandoli al giogo sanguinario dell’invasore, l’atteggiamento del pacifista è diciamo così variabile: a volte, infatti, chi invoca il dovere morale della resa si limita al disappunto, mannaggia io avevo detto che li sventravano in ventiquattr’ore e mortacci loro guarda che roba; altre volte, invece, quello stratega della pace via raduno sindacal-arcobaleno (ma così, en touriste, tra amici che disegnano Zelensky col naso adunco e accademici del fronte “Nato go home”, mica Putin), altre volte, stavamo a ddì, il pacifista che assiste a un avanzamento dei criminali nazisti drogati omosessuali ucraini che si difendono rimugina – e in profundo si augura, così l’analisi geopolitica da prime time trova conferma – che quegli altri, siccome han preso una botta, sicuramente faranno rappresaglia: che arriva, di solito, sui civili, sulle centrali elettriche, sui depositi di cibo, dettagli che però non impensieriscono il pacifista comunista sindacalista collaborazionista che anzi spiega che ecco, vedi?, guarda cosa succede, eppure io ti avevo avvisato che se tu ti opponi agli stupri di massa e alle torture quelli poi bombardano il parco giochi.
E non sto disegnando una macchietta, purtroppo, perché è da nove mesi che l’andazzo è questo (testuale, e lascio in bianco l’autore della delizia): «Putin aveva avvertito: mandare uomini e armi Nato a Zelensky è un atto di aggressione. Il bombardamento di Yavoriv è la risposta. Vincerà l’Ucraina con un po’ più di lanciamissili?». Firmato, appunto, lasciamo perdere. Tipo che se lo sgherro ti chiede il pizzo e tu non lo paghi, e chiedi l’intervento della polizia, e allora quello ti fa saltare il negozio, vuol dire che te la sei andata a cercare.
Di fatto, c’è quest’altra curiosità nel ricasco in Italia delle notizie dal fronte: che non c’è uno (e non soltanto tra gli influencer del pacifismo di cui sopra, ma pure tra quelli che più o meno obtorto collo e dimolto a denti stretti riescono ancora a dire che l’Ucraina va sostenuta), ma proprio manco uno, a compiacersi pubblicamente se la resistenza sottrae un pezzo della propria terra alla grinfia dei denazificatori.
A questo Enrico Letta, per esempio, il dimissionario a differimento semestrale, pagarlo oro se gli scappa un tweet non si dice sulla ripresa di Kherson, che è di ieri (d’altra parte c’è da scrivere sul carattere “divisivo” della norma anti-rave) ma niente, nisba, nada manco per sbaglio durante tutto il conflitto e nemmeno in un caso, tra i parecchi nel tempo, di obiettivo raggiunto dalla controffensiva ucraina. Divisiva anche questa, non si dubita.
E si ammetterà che c’è qualcosa che non fila per il verso giusto se il partito che fa mostra di non vergognarsi proprio del tutto delle scelte pregresse (un po’ sì, ma con giudizio, quel che basta) ritiene di non spendere una parola per salutare i successi della parte che afferma di sostenere. Sarà per via del Lodo Cuperlo, quello secondo cui a questo punto la strategia degli aiuti militari va ripensata perché c’è rischio che le armi servano a respingere gli invasori. O sarà che è maleducazione festeggiare?