Il 26 novembre del 1922 a Saint Paul, nel Minnesota, nacque un bambino che le foto ci mostrano con la grande testa tonda, i capelli biondi e gli occhioni chiari. Insomma, esattamente come Charlie Brown. Pure come Charlie Brown sui chiamava Carlo, aveva il padre barbiere (di origine tedesca) e la madre casalinga (di origine norvegese), il suo miglior amico era un cane, era innamorato di una ragazzina dai capelli rossi, e aveva un carattere timido e introverso.
Non era però Charlie Brown, ma colui che lo creato: come evidente derivazione di sé stesso, anche se in realtà nei primi disegni i personaggi avevano piuttosto la testa ovale tipo pallone di rugby. Charles Monroe «Sparky» Schulz, che se non fosse morto il 12 febbraio del 2000 per un attacco cardiaco farebbe 100 anni.
Più di metà di questo secolo, e quasi i due terzi della sua vita terrena, li passò come fumettista. A 21 anni, poco dopo la morte della amatissima madre per un cancro ai polmoni nascosto fin quasi alla fine, era stato soldato nella Seconda Guerra Mondiale.
Sergente della ventesima divisione corazzata e comandante di una squadra di mitraglieri, partecipò a una sola azione di guerra, in cui puntò la sua arma contro un soldato tedesco, ma quando sparò si accorse che aveva dimenticato di caricare. Prima che potesse farlo il nemico alzò le mani, e così il papà di Charlie Brown finì la guerra senza avere nessun morto sulla coscienza. Però grazie disegni realizzati per le lettere dei commilitoni poté in compenso rendersi conto che la sua passione per il disegno era un talento.
Fece anche l’insegnante e predicatore laico della pentecostale Chiesa di Dio, come ricordò anche Umberto Eco nella prefazione al volume Arriva Charlie Brown: «Non beve, non fuma, non bestemmia. Vive modestamente ed è lay preacher (predicatore laico), in una setta detta la Chiesa di Dio; è sposato e ha, credo, quattro bambini. Gioca a golf e a bridge e ascolta musica classica. Lavora da solo. Non ha nevrosi di alcun genere. Quest’uomo dalla vita così sciaguratamente normale si chiama Charles Schulz».
Tre anni dopo aver iniziato a disegnare, il 2 ottobre del 1950 creò il personaggio che lo rese famoso in tutto il mondo. Comparso su oltre 2600 testate, tradotto in più di venti lingue, pubblicato in oltre settanta nazioni, letto da 355 milioni di persone. Già nel 1952 era uscita la prima raccolta, e già nel 1955 il trentatrenne Schulz aveva vinto il premio Reuben, sorta di Oscar dei fumetti.
«Peanuts» è in realtà il nome della serie. Letteralmente significa arachidi: «Noci piselli». Ma in gergo, nell’inglese degli Stati Uniti dell’epoca, indicava nel teatro la sezione con i posti più economici, e a volte era usato anche per indicare il pubblico composto da bambini. Una liberissima traduzione in italiano potrebbe forse essere «le scartine», l’autore ne fu contrariato e in un’intervista molto successiva, nel 1987, lo definì «un nome totalmente ridicolo, non ha significato, crea confusione e non ha dignità – e io credo che il mio umorismo abbia dignità».
Ma lo accettò, e ne fece anzi un punto di forza, rendendo lo spazio ridotto e l’aspetto austero un modo per rendeva l’alienazione di alcuni personaggi. Che sono tantissimi: ne sono stati contati oltre una quarantina. Ma alcuni evidentemente più centrali.
Innanzitutto lo stesso Charlie Brown: scolaro di quarta elementare di nove anni e mezzo, il fatto di essere considerato un perdente non gli impedisce di dare prova di infinita determinazione e testardaggine. Ma è dominato dalle sue ansie e manchevolezze, e suoi compagni approfittano di lui. Migliore esempio di ciò è la squadra di baseball di cui è instancabile organizzatore e lanciatore, ma che perde sempre con punteggi tremendi. Ha anche una grande passione per gli aquiloni, che finiscono sempre su un albero «mangia-aquiloni».
Ma c’è poi il cane Snoopy, tanto dinamico quanto il suo padroncino è rinunciatario, e impegnato in continue sfide oniriche con l’eroe della Grande Guerra Barone Rosso; l’amico con la coperta Linus, cui nel 1965 fu dedicata una rivista italiana; la sua bisbetica e autoritaria sorella maggiore Lucy; il pianista Schroeder; lo sporchissimo Pig-Pen; la sorellina Sally, innamorata di Linus; l’uccellino Woodstock; il negretto Franklin; la tenera Piperita Patty.
Citatissima è la Ragazzina dai Capelli Rossi di cui Charlie è innamorato, ma che non appare mai. Neanche gli adulti si vedono mai, ma quei bambini in perpetuo sospesi tra ricerca di identità e integrazione sociale, la relativa sconfitta e la conseguente nevrosi diventano metafora della condizione umana, e della sua fragilità.
Protagonisti di una serie di cartoni animati, di due lungometraggi animati e di una commedia musicale nel 1967, i Peanuts hanno avuto anche una serie interminabile di tentativi di imitazione. L’unico all’altezza dell’originale, probabilmente, Mafalda, dell’argentino Quino.
Nel 1983 a Charlie Brown è stato pure dedicato un parco divertimenti sul modello di Disneyland. Esaltato da magazine e intellettuali, malgrado il successo la serie avrebbe continuato a essere disegnata dal solo Schulz per quasi mezzo secolo. Senza nessun assistente neanche per il testo o la colorazione, fino a quel novembre del 1999, quando dopo una serie di piccoli ictus e l’occlusione di un’aorta gli fu trovato un cancro al colon ormai entrato in metastasi.
Un po’ per la chemioterapia, un po’ perché non riusciva più a vederci bene, il 14 dicembre del 1999 annunciò che smetteva di disegnare. Aveva però tenuta riservata un’ultima vignetta. Su sua richiesta, la morte fu comunicata dai giornali in quell’ultima striscia il giorno dopo la morte. Al cane Snoopy il compito di congedarsi dai lettori con poche parole battute sulla sua macchina da scrivere. «Cari amici, ho avuto la fortuna di disegnare Charlie Brown e i suoi amici per quasi cinquant’anni. È stata la realizzazione del sogno che avevo fin da bambino. Purtroppo, però, ora non sono più in grado di mantenere il ritmo di lavoro richiesto da una striscia quotidiana. La mia famiglia non desidera che i Peanuts siano disegnati da qualcun altro, quindi annuncio il mio ritiro dall’attività. Sono grato per la lealtà dei miei collaboratori e per la meravigliosa amicizia e l’affetto espressi dai lettori della mia striscia in tutti questi anni. Charlie Brown, Snoopy, Linus, Lucy… non potrò mai dimenticarli…».
Dopo l’annuncio di Snoopy, un necrologio apparve poi il 14 febbraio del 2000, giorno di San Valentino, sul quotidiano londinese The Times. «Charles Schulz lascia una moglie, due figli, tre figlie e un piccolo bambino dalla testa rotonda con uno straordinario cane».
Nel 2002 a Santa Rosa, in California, gli è stato intitolato un museo.