Se va al Nazareno non fa notizia, se va da Giuseppe Conte sì: è dai particolari che si giudica un giocatore come Maurizio Landini, il capo di quella Cgil che ormai al non crede più al Partito democratico e guarda al partito dell’avvocato del popolo (e molti suoi iscritti direttamente a Giorgia Meloni) come al vero protagonista della lotta politica contro il governo. L’ennesima riprova di un sindacato che rischia di essere la cinghia di trasmissione del partito personale di Conte si è avuta ieri con il lungo e cordialissimo incontro tra il segretario della Cgil e l’ex presidente del Consiglio, chez lui, nell’ufficio del Movimento.
Landini ha praticamente saldato la protesta del suo sindacato (insieme alla fedele Uil, mentre la Cisl è più guardinga) a quella dei post-grillini nel nome soprattutto del no alla modifica del reddito di cittadinanza che secondo i desideri del governo andrà piano piano in soffitta: «Abbiamo ascoltato il giudizio del Movimento 5 stelle che su molte nostre richieste condivide e c’è un terreno importante e comune di iniziative», ha dichiarato Landini. Musica per Conte che ha trasformato il reddito di cittadinanza nel grimaldello utile a scardinare i forzieri dei voti soprattutto al Sud.
Si dirà che la Cgil vede tutti, anche il Pd, ma non se n’è accorto nessuno. Invece ieri c’è stata maggiore enfasi mediatica, e non casuale, sull’ennesimo abbraccio tra Landini e Conte, la strana coppia della lotta sociale 2.0, una saldatura tra lo storico sindacato di sinistra e il partito del populismo italiano nel quale i ruoli tra il Conte-Masaniello e il Landini leader politico paiono ormai del tutto sovrapponibili.
D’altronde l’avvocato foggiano ha preso tutta la scena dell’opposizione: è vero che il Pd ha iniziato sabato la sua mobilitazione contro la legge di Bilancio – della quale però non sono giunte particolari notizie – che culminerà in una manifestazione il 17 dicembre ma nell’immaginario collettivo il partito di Letta appare ben più arrovellato sulle questioni sue interne, cioè su un congresso che si va scaldando con la sfida tra Stefano Bonaccini e Elly Schlein, che sulla battaglia sociale; ed è davvero paradossale che una parte del Pd abbia messo nel mirino il liberismo e rilanciato il tema delle disuguaglianze sociali ma che i suoi dirigenti non pensino a organizzare qualche uscita davanti alle fabbriche con il megafono in mano, mentre Conte si fa riprendere dalla telecamera in mezzo ai disoccupati napoletani.
E questo mentre, dall’altro lato, il Terzo Polo ha provato a entrare nel merito aprendo un dialogo con Meloni e inserendo una piccola zeppa tra Forza Italia e il resto della maggioranza, e si vedrà in Parlamento se la mossa di Carlo Calenda avrà ottenuto qualche risultato.
Schiacciato dunque tra la piazza (non solo in senso materiale ma anche in quello della postura) di Landini-Conte e la tattica negoziale di Calenda, il Pd appare un pochino in ritardo sia sulle sue manifestazioni di partito che per forza di cose non saranno gigantesche e il gioco politico tanti disprezzato quando a praticarlo è il Terzo Polo ma che nei prossimi giorni dovrà vedere protagonista anche il partito di Letta.
Il che tra l’altro dovrebbe essere facilitato dal clima negativo che sta circondando la manovra del governo, ultima la bocciatura della Banca d’Italia. Non ci vorrebbe molto per riprendersi la scena, non è normale per un partito con le tradizioni del Pd subire la concorrenza dei populisti e l’iniziativa politica dei riformisti. Tocca a Enrico Letta prendere in mano la situazione. Se ci riesce.