Sono molti i capitoli della Legge di Bilancio che hanno dovuto subire il consueto balletto di annunci e smentite, di fughe in avanti e di aggiustamenti in seguito alle reazioni delle parti sociali, dei partiti della maggioranza o della Commissione europea. È stato così anche per Opzione Donna, la possibilità per le lavoratrici di andare in pensione prima a determinate condizioni, (finora l’aver compiuto 58 anni, 59 per le autonome, e 35 anni di contributi). Tra le ipotesi di riforma c’è stata anche quella di un diverso trattamento da riservare alle donne con figli, concedendo a queste uno o due anni in più di anticipo pensionistico rispetto a quelle che non ne hanno mai avuti.
Al di là di come andrà alla fine, è giusto che si parli del tema dell’occupazione delle madri italiane, strettamente collegato a due ambiti in cui il nostro Paese è fanalino di coda in Europa e in Occidente: la demografia e il lavoro femminile.
L’Italia è lo Stato in cui sono bassi sia il tasso di fertilità (il numero di figli per donna fertile) che il tasso d’occupazione delle donne i. A lavorare è solo il 59,8 per cento delle italiane tra 25 e 49 anni, contro l’80,2 per cento di quelle tedesche della stessa età, il 77,7 per cento delle francesi, l’82,5 per cento delle olandesi. A differenza di quanto accaduto nell’Europa centrale e settentrionale nel tempo le cose sono cambiate poco. Differenziando però per numero di figli, appare chiaro come il tasso di occupazione di chi ne ha abbia avuto un andamento più positivo. Quello di chi ne ha due è aumentato del 3,7 per cento in 10 anni, mentre è sceso dell’1,3 per cento quello di chi non ha nessun figlio.
Questo trend in parte è dovuto a questioni demografiche – le donne giovani, spesso senza prole, fanno più fatica a trovare lavoro – ma in parte conferma come ci sia un legame positivo tra occupazione e fertilità. Si ha la possibilità di allargare la famiglia se questa ha redditi da lavoro più alti, e questo è possibile solo se a guadagnare sono in due.
Questo è vero anche all’estero, tanto che il gap tra i tassi di occupazione delle donne italiane e quelli delle donne europee, a parità di numero di figli, è peggiorato.
Questo divario è aumentato di circa tre punti, ed è rimasto più ampio proprio nel caso delle lavoratrici che ne hanno due.
Come possiamo migliorare il trend occupazionale di chi ha una prole continui ad andare meglio di quello medio, avvicinandosi a quello europeo? I dati ci dicono che in Francia e nei Paesi Bassi la differenza tra il tasso di occupazione delle madri con un figlio e quello di chi non ne ha è minore o addirittura positivo. I divari maggiori, però, si riscontrano nel caso di chi di figli ne ha due. La percentuale di donne olandesi che hanno partorito due volte (o ha avuto dei gemelli) e hanno un lavoro è del 3,1 per cento superiore a quella delle connazionali child-free. Al contrario in Italia è del 7,5 per cento inferiore, e in Germania addirittura dell’8,5 per cento.
Non è un caso che i Paesi Bassi siano lo Stato con la maggiore quota di donne tra i 25 e i 49 anni che lavora part time, il 60 per cento (in Italia è il 35 per cento), mentre la Germania è quello che applica a livello fiscale il metodo dello tax splitting. In parole povere il reddito totale in una coppia è diviso per due, vi viene applicata l’aliquota in cui, una volta dimezzato, ricade, e la tassazione così ottenuta è moltiplicata per due. A causa della presenza di un sistema fiscale progressivo si versa alla fine un’imposta minore di quella che si pagherebbe se si applicasse l’aliquota a ogni reddito separatamente. Questo è vero soprattutto quando un coniuge (di solito la moglie) non lavora e un altro (il marito, il più delle volte) ha un buon stipendio. Di conseguenza per le donne diminuisce l’incentivo monetario a lavorare.
E questi numeri lo confermano.
Per motivi strutturali l’occupazione femminile tedesca è sempre stata maggiore di quella italiana, a prescindere dalla situazione familiare, ma il punto è che una tale impostazione del regime fiscale genera un gap rilevante tra quella di chi ha figli e di chi non ne ha. Non è un sistema da imitare da parte di chi, come l’Italia, parte da basi già più sfavorevoli. Piuttosto, per favorire l’avvicinamento (o il mancato allontanamento) delle madri al mondo del lavoro sembra essere decisivo un altro fattore. È l’istruzione, che proprio in Italia ricopre un ruolo determinante.
Le donne laureate che hanno uno o due figli hanno un tasso di occupazione maggiore di quello medio e di 3-6 punti percentuali più alto di quello di chi non ha figli, 82, per cento (con due figli) e 79,3 per cento (con un figlio) contro 76,1 per cento (senza figli). Anche qui contano le minori possibilità di trovare un impiego per le giovani neo-laureate, ma è evidente che una volta diventate madri coloro che hanno studiato all’università tendono a uscire dal mondo del lavoro molto meno di quanto facciano le diplomate. Non solo, nel caso delle laureate il divario tra il tasso di occupazione italiano e quello europeo, a parità di numero di figli, è minore rispetto a quello medio, e non è peggiorato con il tempo.
Anzi, in Italia è maggiore che altrove il vantaggio di chi ha prole. Nel nostro Paese il tasso di occupazione di chi ha un titolo di laurea e ha due figli è del 6,2 per cento più alto di quello di chi non ne ha nessuno, in Spagna del 4,3 per cento, nei Paesi Bassi del 2,2 per cento, in Francia dell’1,5 per cento, mentre in Germania il gap è negativo del 5,6 per cento.
La strada sembra essere questa: aumentare il livello d’istruzione per le donne, diffondere maggiormente il part time, astenersi da misure che, magari in buona fede, pensano di favorire le famiglie monoreddito, ma che alla fine disincentivano il lavoro femminile. È questo che serve per aumentare l’occupazione di quella fetta di italiani, sempre più piccola, che è in età lavorativa e in particolare di quel pezzetto in cui oggi vi sono meno lavoratori, ovvero le madri. Solo così potremo permetterci di pagare ancora le pensioni in futuro, e magari addirittura il lusso di varare qualche misura di anticipo pensionistico per alcune categorie.
Più mamme al lavoro vuol dire anche più nuovi nati, e anche di questi abbiamo un disperato bisogno.