Diffidenza diffusaFidarsi degli altri è più complesso di quel che si crede

In quest’epoca si spegne l’interruttore che attiva le relazioni affettive, professionali, personali. Il libro di Francesca Bertè e Sergio Sorgi (pubblicato per Egea) propone una raccolta di spunti teorici e pratici per provare a invertire una tendenza di lungo periodo

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Quando al mattino premiamo il bottone della radiosveglia per interromperne il fastidioso cicaleccio, inizia il nostro viaggio quotidiano nella fiducia. Quel gesto semiautomatico, infatti, si basa sull’aspettativa positiva che la corrente elettrica che passa dalla sveglia non ci fulmini, sulla fiducia pigra che nutriamo nel produttore e negli ispettori della qualità.

Nell’alzarci dal letto, ci fidiamo del costruttore dell’edificio e della solidità del pavimento, quando apriamo il rubinetto per lavarci confidiamo che non ne fuoriesca una vipera, e addentiamo pane tostato e marmellata senza farli assaggiare a una cavia perché siamo ragionevolmente convinti che non contengano stricnina. Ogni volta che attraversiamo la strada con il semaforo verde, inconsciamente confidiamo nel fatto che qualcuno a noi del tutto ignoto non passi con il rosso. In sintesi, senza fiducia non usciremmo di casa con lo smartphone ma con la pistola, non saliremmo in ascensore, non mangeremmo cibo crudo, non affitteremmo la nostra stanza a un forestiero, non useremmo la carta di credito su una piattaforma di pagamenti elettronici che non sappiamo nemmeno da chi sia gestita. La fiducia è un pavimento di vetro che ci consente di camminare senza cadere.

Come ben pone in luce Niklas Luhmann, senza fiducia non potremmo nemmeno alzarci dal letto la mattina perché nessun individuo sarebbe in grado di sopportare un confronto diretto e continuo con la complessità del mondo. Il sistema «fiducia», così descritto, sostituisce l’insicurezza esterna con una relativa sicurezza interna, e ci aiuta a tollerare le incertezze ambientali e relazionali. Siamo però certi che le fiducie descritte siano consapevoli e non automatiche?

In fondo, non tutto può essere vagliato in modo meticoloso: abbiamo energie e tempo limitati e non ne verremmo a capo. Se dunque alcune cose decidiamo di darle per assodate, ce ne sono molte altre che invece meritano un’attivazione e una consapevolezza ben diversa. Fidarsi è una scelta generosa ma anche l’esito di una valutazione e in questo senso è qualcosa di molto diverso dall’affidarsi o dallo sperare. Inoltre, fidarsi delle cose è molto meno impegnativo in termini psicologici che fidarsi delle persone. Come ben espresso da Katherine Hawley, «quando inizi a pensare che il tuo computer cospiri contro di te, è tempo di prendere una boccata di aria fresca».

Eppure, a dispetto della teoria, viviamo da tempo in un contesto segnato da diffusa sfiducia nella quale gli altri, il futuro e noi stessi ci appaiono sempre più inconoscibili e in qualche maniera vulnerabili. Quanto c’è di oggettivo, in tutto ciò, e quanto di soggettivo? Perché alcuni di noi si fidano anche in contesti apparentemente minaccianti e altri sviluppano forti diffidenze in situazioni che sembrerebbero prive di rischi?

 

Fiducia, sostantivo plurale, Sergio Sorgi, Francesca Bertè, Egea, 18 euro, 160 pagine

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