Negli ultimi cinque anni l’Italia ha definitivamente imboccato la strada del digitale, eppure non basta. Nel nostro Paese restano due milioni di famiglie senza connessione. Non hanno né una smart tv, né un pc o smartphone che consenta loro un accesso a Internet. Lo rivela il quinto rapporto Auditel-Censis, presentato lo scorso 18 dicembre al Palazzo Giustiniani di Roma secono cui sono novantatré milioni i device connessi alla rete all’interno delle abitazioni italiane (nel 2017 erano meno di settantaquattro milioni) e un totale di quarantatré milioni di televisioni, di cui quasi diciassette milioni sono smart tv (in crescita del 210,9 per cento rispetto al 2017, che in valore assoluto significa oltre undici milioni di apparecchi televisivi connessi in più).
Proprio smart tv, computer e dispositivi mobili sono le uniche voci di spesa in crescita tra le famiglie italiane dal 2008 a oggi, un trend positivo proseguito anche durante la pandemia.
Al netto di questi dati, restano come i due milioni di nuclei familiari – circa tre milioni di persone – che non dispongono di un accesso al web: sono soprattutto persone anziane soli, che risultano completamente estromessi dalla vita digitale. Un dato da non sottovalutare, che si aggiunge al diciottesimo posto ricoperto dall’Italia nella classifica del Digital Economy and Society Index (Desi) 2022, il rapporto europeo sullo stato della digitalizzazione dell’Unione.
Sul fronte televisivo, restano ancora tre milioni e cinquecentomila schermi domestici che risalgono a prima del 2011 e che, presumibilmente, non sono in alcun modo compatibili con il passaggio al digitale terrestre di seconda generazione. A questi vanno aggiunti oltre undici milioni di televisori di cui non è possibile ricostruire con esattezza la data dell’acquisto e che potrebbero non essere in grado di supportare la nuova tecnologia.
«Ormai la stragrande maggioranza degli italiani è connessa», spiega Anna Italia, ricercatrice Censis e autrice del rapporto. «Il digital divide (divario digitale, ndr.) riguarda una porzione marginale ma significativa di popolazione. Oltre a ciò, abbiamo ancora larghe fasce del Paese che non sono ancora coperte dalla banda larga: magari sono connesse con il cellulare e possono vedere i contenuti web ma hanno difficoltà a lavorare o a studiare».
In un contesto simile permane anche un problema culturale; il rischio è che le distanze sociali, anagrafiche e di istruzione si vadano a sommare ai problemi di carenza di infrastrutture e di banda. «A essere maggiormente penalizzato è chi vive al Sud e in contesti periferici», sottolinea la ricercatrice. I dati della rilevazione Auditel mostrano con chiarezza come chi vive nei centri minori abbia maggiori difficoltà a fare pieno ingresso nella vita digitale, perché ha meno possibilità di connettersi e, soprattutto, ha una più bassa qualità delle connessioni. L’87,2 per cento delle famiglie che risiede nei centri minori ha accesso a Internet, ma solo il 49,7 per cento ha sia una connessione domestica sia mobile, mentre il venticinque per cento si connette unicamente con lo smartphone.
La sfida per la modernità si giocherà nell’immediato futuro. I prossimi cinque anni saranno determinanti per recuperare le sacche di esclusione e di marginalità dalla vita digitale del nostro Paese: lo switch-off definitivo al digitale terrestre (conclusosi il 21 dicembre, con il passaggio al nuovo standard per tutti i canali di tutte le emittenti) potrà contribuire, ma la spinta determinante dovrà venire dal Pnrr. All’interno del Piano nazionale di ripresa e resilienza sono previsti infatti 6,7 miliardi di euro per connettere entro il 2026 tutta l’Italia con reti ad altissima velocità (fisse e mobili) e favorire, attraverso l’introduzione di misure di sostegno economico, la domanda di accessibilità alla rete delle fasce deboli di popolazione.
«Sulla parte di infrastrutturazione sono fiduciosa», conclude Italia. «Speriamo che si pensi anche a degli interventi di sostegno, non solo di tipo economico ad acquistare o a risparmiare sui dispositivi, ma che siano anche di carattere culturale. Lì la partita sarà più difficile».