Aveva ragione PannellaLa polemica contro La Russa e Rauti è il trionfo dell’antifascismo farisaico

Dare di fascista agli oppositori è un tic politico identitario e così ora, oltre ai fascisti, abbiamo anche il problema di chi ne applica inconsapevolmente i metodi ideologici

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Da molti punti di vista, l’antifascismo della sinistra è come la cosiddetta cultura cristiana della destra: un semaforo rosso trasformato in totem; un bigino di citazioni e sentimenti d’ordinanza; un patrimonio di istanze più interdittive che identitarie e più poliziesche che profetiche; un inesauribile deposito di divise e di indignazioni prêt-à-porter per tutti i sabati antifascisti che Dio manda in terra. C’è – diciamolo – tanto antifascismo nelle richieste di dimissioni di Ignazio La Russa e di Isabella Rauti per il culto della memoria missina, quanto cristianesimo nel rosario di Matteo Salvini agitato come un amuleto tribale o nel Soy cristiana urlato da Giorgia Meloni e divenuto formula magica dei Vaffa-Day sovranisti. In pratica, cioè, non ce n’è nulla, neppure la sembianza esteriore.

La storia politica missina è stata anche una storia di ombre e di fantasmi, di tentazioni e di doppiezze, cui l’afflato nostalgico di camerati e post-camerati offriva perfino una misura di umanità, se non di rispettabilità, a fronte di un profilo pubblico – di picchiatori e generali, intrallazzoni e palazzinari, agenti segreti e filosofi nazisteggianti – che sembrava costruito su misura per suffragare il pregiudizio dei nemici e dare loro ragione. Non è stato solo questo, il Movimento sociale italiano (MSI). Ma per l’essenziale, fino all’inizio della Seconda Repubblica, è stato questo. Questo contava e pesava, all’esterno e ancora di più all’interno, non quelle componenti, pure presenti e diffuse, sensibili a una cultura politica e a una cultura tout court un po’ antagonistica e un po’ libertaria, ma comunque distante anni luce dal reducismo mussoliniano e dal tradizionalismo clerico-fascista.

In ogni caso non è la complessità della storia missina a rendere banali e riduzionistici i tentativi di liquidarla come un romanzo criminale. Il problema è proprio il proposito dei liquidatori, che rimanda a esperienze e abitudini vecchie quante il post-fascismo.

Il fatto è, cioè, che gli antifascisti “certificati”, dal 1945 a oggi, hanno per lo più (anche loro!), combattuto il post-fascismo per non fare i conti col fascismo, e hanno cantato la svolta e l’alba della Resistenza per esorcizzare o dissimulare la continuità di quella notte della libertà e del diritto e di quel fascismo eterno e cangiante – sul piano della cultura e delle leggi, dell’organizzazione della vita sociale e del ruolo dello Stato – che ha continuato a essere l’autobiografia della nazione anche dopo la fine del regime mussoliniano.

A dire queste cose, ormai quarant’anni fa, c’era Marco Pannella, che andava ai congressi del MSI per denunciare che il vero fascismo ormai era fuori di lì, mentre Almirante si agitava, non capiva e protestava: «No, il fascismo è qui». Pannella faceva campagne e referendum per attaccare il fascismo vivente nel codice e nella legislazione penale, nell’organizzazione corporativa dell’economia e della società, nella cultura dell’emergenza permanente e nel culto della ragion di Stato e quindi dell’arbitrio e del potere assoluto.

Per questa ragione Pannella sfuggiva alla retorica post-resistenziale e alle celebrazioni necrofile di piazzale Loreto e denunciava la trasmutazione della tragedia fascista nella commedia antifascista e la «litania della gente-bene della nostra politica» sul fascismo fuori legge, lungo la linea che dall’intransigentismo del Partito d’Azione aveva portato a quello, diciamo così, ben più disinibito di Lotta Continua.

Soprattutto Pannella si opponeva a quel razzismo antropologico che voleva i fascisti tutti umanamente a immagine e somiglianza dell’orrore del fascismo, mentre riconosceva ai comunisti – e solo a essi – la differenza di una moralità tradita dalle carambole della storia, di una dirittura contraddetta dalle storture del comunismo realizzato e non solo immaginato. Questo razzismo, per Pannella, poggiava sull’equivoco di vedere nel fascismo la radice del male, e non una delle sue manifestazioni e dei possibili rigogli della malapianta totalitaria, dell’illusione della violenza rivoluzionaria e della menzogna del potere salvifico.

Una delle conseguenze di questo continuo gioco di specchi dell’antifascismo farisaico è di illudere tutti, compresi gli illusionisti, che l’ortopedia retorica e l’ortopratica ideologica bastino a raddrizzare il corso della storia. Che basti mettere il fascismo fuori legge per metterlo fuori gioco. Che basti lanciare un anatema per suscitare la religiosa devozione del popolo. I fatti – compresi quelli di Fratelli d’Italia e della lunga contro-Fiuggi sovranista inaugurata da Giorgia Meloni dieci anni fa, riaccendendo appunto la fiamma del MSI – dimostrano che purtroppo o per fortuna la storia politica è una cosa molto più complicata.

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