Sciopero per il futuro Per Orbán è arrivato il momento di fare i conti con le proteste degli insegnanti ungheresi

Le manifestazioni, sempre più partecipate, contro gli stipendi da fame e i libri di testo xenofobi e nazionalisti con i discorsi del premier. Ora che i fondi europei sono sbloccati, il governo non potrà più usarli come scusa. Verso un ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo

Una manifestazione della scuola ungherese a Budapest
Foto: Anna Szilagyi/AP

Negli ultimi mesi, il braccio di ferro tra il premier ungherese Viktor Orbán e la Commissione europea ha fatto scivolare in secondo piano la crescente ondata di dissenso nei confronti del governo ungherese da parte del mondo dell’istruzione. Da quasi un anno, infatti, gli insegnanti del Paese scendono in strada insieme ad alunni e genitori per chiedere condizioni di lavoro migliori. Dal governo hanno ottenuto solo vaghe promesse legate a doppio filo all’erogazione dei fondi europei. Ora che l’accordo tra l’Ungheria e l’Unione è stato raggiunto, Orbán sarà costretto a trovare un altro espediente o a investire seriamente nell’istruzione pubblica.

Le prime avvisaglie di quelle che sarebbero diventate le più grandi proteste del mondo della scuola ungherese degli ultimi quattro anni risalgono a fine gennaio, quando più di ventimila insegnanti avevano partecipato al primo sciopero dell’anno.

Il loro obiettivo era (e resta) quello di ottenere un aumento degli stipendi, migliori condizioni di lavoro e maggiore autonomia rispetto ai programmi scolastici e ai libri di testo. Gli insegnanti ungheresi infatti guadagnano in media poco più di cinquecento euro al mese (mentre il costo di un appartamento in affitto a Budapest va dai quattrocento ai seicento euro), anche se lavorano più ore dei colleghi europei.

Alle difficoltà economiche si aggiungono poi i limiti alla libertà intellettuale imposti da programmi e libri scolastici. Dal 2016 in poi, con la riforma dell’educazione nazionale, Orbán ha centralizzato il mercato dei libri di testo, che vengono quindi redatti integralmente dall’Istituto ungherese per la ricerca e lo sviluppo educativi seguendo le indicazioni del governo.

All’interno di questi testi non è raro trovare riferimenti alle posizioni xenofobe e nazionaliste di Orbán, se non interi discorsi pronunciati dal premier ungherese. La totale sottomissione dell’istruzione alla linea di governo è stata riconfermata con la vittoria di Orbán alle elezioni dello scorso aprile, quando la gestione dell’istruzione pubblica è passata completamente nelle mani del ministero dell’Interno.

In previsione di ulteriori manifestazioni, a febbraio Orbán ha deciso di sfruttare lo stato di emergenza dichiarato per contenere la pandemia per emanare un decreto che stabiliva il numero minimo di ore di insegnamento e supervisione che il corpo docente deve garantire durante gli scioperi.

«Il decreto prevede che gli insegnanti debbano garantire almeno il cinquanta per cento delle ore di insegnamento e la supervisione completa degli studenti», spiegano Szabolcs Hegyi e Judit Zeller dell’Ong Hungarian Civil Liberties Union (Hclu). In alcuni casi, tuttavia, come nelle classi che si preparano per la maturità o per gli alunni con bisogni educativi speciali, il decreto prevede che il personale debba garantire il cento per cento delle ore di insegnamento e supervisione.

«Dal nostro punto di vista, il decreto ha imposto restrizioni eccessive al diritto di sciopero degli insegnanti. Se la maggior parte delle ore di supervisione e di insegnamento vengono garantite, lo sciopero resta invisibile», aggiungono gli esperti dell’Hclu.

In risposta al decreto, più di quindicimila insegnanti sono scesi in piazza a marzo, dove sono stati raggiunti anche da studenti e genitori. In Ungheria, infatti, «il declino della qualità dell’istruzione non è una novità: è un problema che va avanti da decenni», spiega Zsófia Moldova, avvocata dell’organizzazione umanitaria Hungarian Helsinki Committee.

Le ultime rilevazioni dell’Ocse lo confermano: oggi gli studenti ungheresi presentano infatti risultati inferiori alla media europea in matematica, nella lettura e nelle materie scientifiche. Nonostante le proteste, a giugno il parlamento ungherese ha trasformato il decreto in legge e i sindacati degli insegnanti hanno chiesto aiuto all’Hungarian Helsinki Committee e all’Hclu per fare ricorso davanti alla Corte costituzionale ungherese e alla Corte europea dei diritti dell’uomo.

Dall’inizio del nuovo anno scolastico a oggi, complice anche l’aumento dell’inflazione (che in Ungheria supera il venti per cento) le manifestazioni sono diventate sempre più frequenti e partecipate: a ottobre, più di trentacinquemila persone hanno bloccato un ponte nel centro di Budapest prima di dirigersi nella piazza dove ha sede il ministero dell’Interno ungherese.

Nel frattempo,  il numero di insegnanti che scelgono la disobbedienza civile per sfidare il governo non ha fatto che aumentare: secondo il portale di notizie ungherese Telex, più di novecento insegnanti hanno smesso di lavorare, mentre almeno altri tredici sono già stati licenziati per disobbedienza civile e decine di altri hanno ricevuto avvertimenti dal governo.

Da gennaio a oggi, Orbán ha parlato pubblicamente delle manifestazioni solo in due occasioni, ripetendo in entrambi casi che le richieste degli insegnanti potranno essere accolte utilizzando i fondi europei. «I soldi sono un problema, dato che alla scuola pubblica mancano finanziamenti, ma fornire istruzione di qualità non dovrebbe essere una questione di fondi europei», afferma Moldova.

Ancor prima di arrivare all’accordo con la Commissione europea, a metà ottobre il ministro Gergely Gulyás aveva annunciato che gli stipendi degli insegnanti sarebbero aumentati gradualmente nei prossimi due anni, a condizione sempre di ricevere i fondi europei necessari. Gli aumenti previsti andavano dal 20,8 per cento nel 2023 fino al trenta per cento nel 2025.

La proposta non aveva convinto i sindacati degli insegnanti, che si sono accorti che il governo non ha tenuto conto dell’attuale tasso di inflazione in Ungheria: al netto dell’inflazione, infatti, l’aumento dei salari arriverebbe al massimo al sei per cento.

Dopo questo minuscolo spiraglio di apertura da parte del governo, nelle ultime settimane le autorità ungheresi sono tornate a chiudersi su sé stesse. A più di un anno dall’invio della prima richiesta, a novembre il segretario all’istruzione Zoltán Maruzsa ha ricevuto i rappresentanti dei sindacati degli insegnanti, ma l’incontro non ha portato a nulla.

Sul piano legislativo, la Corte costituzionale ungherese ha rifiutato la mozione presentata da un gruppo di parlamentari, dichiarando che la legge sul servizio minimo da garantire durante gli scioperi non è incostituzionale: una mossa che anticipa quale potrebbe essere l’esito del ricorso proposto dall’Hungarian Helsinki Committee e dall’Hclu.

«Crediamo che, a differenza di quelle degli ultimi anni, quest’ondata di manifestazioni sia destinata a durare», commentano Hegyi e Zeller, che precisano tuttavia che la trasformazione da proteste di settore a scioperi generali è ancora molto lontana. Per Orbán, invece, il tempo è già scaduto: con la fine delle tensioni con l’Unione, nascondersi dietro all’immagine di un’Europa brutta e cattiva non è più possibile.

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