Chiamami col mio nuovo nomeLa lotta per garantire alle persone trans di scegliere la “carriera alias” a scuola

In almeno 186 istituti superiori italiani, studenti e studentesse possono adottare in classe un nome d’elezione, conforme al genere in cui s’identificano e non a quello di nascita. Un dirigente scolastico del “Primo Levi” di Badia Polesine ha diffidato la associazione Pro Vita & Famiglia che vuole impedire di esercitare questo diritto

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Mentre l’altroieri il Parlamento scozzese e la Camera bassa delle Cortes Generales spagnole approvavano pressoché in contemporanea il Gender Recognition Bill e la cosiddetta Ley Trans, abbassando così rispettivamente a 16 e 14 anni l’età minima richiesta per la rettificazione anagrafica, facilitandone l’accesso; da noi Pro Vita & Famiglia continuava a gridare la croce addosso alle persone transgender. E così ora, sia pur tra polemiche, minacce di barricate o, come nel caso del premier britannico Rishi Sunak, annunciati blocchi preventivi, Edimburgo aspetta solo il definitivo assenso reale al proprio testo e Madrid il via libera del Senato al suo.

A Roma i fautori della miserabile guerra delle diffide contro i circa 150 istituti sui complessivi 186, che, nel pieno rispetto della normativa vigente a partire da quella in tema d’autonomia scolastica, hanno attivato la “carriera alias” per studenti trans – l’adozione cioè d’un nome d’elezione, conforme al genere in cui ci s’identifica e non corrispondente a quello assegnato alla nascita –, sono anche loro in attesa. Ma la risposta arrivata ieri è ben diversa da quella immaginata.

Anziché recedere dalla decisione presa e annullare il Regolamento per la carriera alias, come – stando al comunicato diramato il 6 dicembre da Pro Vita & Famiglia – si sarebbe già fatto in alcuni istituti, Amos Golinelli, dirigente del “Primo Levi” di Badia Polesine nel Rovigotto, ha infatti diffidato a sua volta l’associazione presieduta da Toni Brandi «dal proseguire nell’azione intrapresa dovendo, in difetto, rivolgerci ai nostri legali di fiducia affinché intraprendano in ogni opportuna sede le azioni che riterranno necessarie» per la migliore tutela della scuola.

Di questo atto, notificato ieri tramite pec anche a Generazione Famiglia, diretta da quel Jacopo Coghe che di Pro Vita & Famiglia è portavoce senza contare il passato ruolo di vicepresidente Congresso mondiale delle Famiglie di Verona, Linkiesta è venuta in possesso. A inoltrarlo su mandato di Golinelli è stata l’Aps Gender X, fondata nel 2019 per tutelare soprattutto i diritti delle persone trans, non binarie, gender diverse, intersessuali e presieduta dall’attivista FtM Gioele Lavalle. Ad affiancarlo in qualità di vicepresidenti la psicologa Cristina Leo, prima persona trans a rivestire il ruolo di assessora in Italia, e l’avvocato Gianmarco Negri, prima persona trans a essere stato eletto sindaco nel nostro Paese.

GenderX

Nella diffida «si contesta recisamente il contenuto dell’intimazione» fatta pervenire al “Primo Levi”, sottolineando come «lo scritto in questione, censurabile sotto ogni profilo, tenta di distorcere gli obiettivi che l’Istituto scolastico si prefigge di raggiungere con l’accesso alla carriera “alias” da parte delle ragazze e dei ragazzi trans che ne fanno richiesta (personalmente, se maggiorenni, o dei genitori di coloro che non hanno ancora raggiunto la piena capacità giuridica) e che si trovano ad affrontare un percorso di affermazione di genere». 

Si ricorda poi come «i riferimenti normativi citati» non colgano nel segno, «in quanto il Regolamento adottato non prevede in alcun modo una modifica del dato anagrafico nelle certificazioni o nella documentazione ufficiale detenuta dall’Istituto scolastico, permettendo unicamente, a chi ne fa richiesta, di adottare il nome di elezione. Ne deriva che alcun reato viene commesso dalla scuola, che decide di adottare il Regolamento della carriera “alias”, né dalle/dagli studenti transgender o dai genitori di minori che ne fanno richiesta, neanche nella forma putativa e/o del tentativo».

Importante soprattutto il passaggio, in cui si rileva come il «dare la possibilità alle persone transgender di adottare la carriera “alias”» non incoraggi affatto «a vivere un’identità che contrasta con il genere di appartenenza», permettendo invece alle stesse «d’integrarsi appieno nel tessuto scolastico garantendo loro che non vi sia la violazione della propria privacy, in ordine ai dati sensibili che li riguardano, con l’ulteriore effetto di permettergli di dedicarsi completamente allo studio senza inutili dispendi di sofferenze ed energie». 

Non manca infine una difesa delle «associazioni impegnate nella tutela dei diritti civili, dei diritti dello studente e della libertà educativa», accusate da Pro Vita & Famiglia di restare «insensibili alle richieste di aiuto e alle questioni che coinvolgono quotidianamente le ragazze e i ragazzi transgender e si adoperino, addirittura, per ostacolare quanto l’Istituzione scolastica ha messo in campo per contribuire all’esercizio del diritto allo studio delle/degli studenti trans».

Ne è ben consapevole il presidente di Gender X Gioele Lavalle, che, nell’osservare come del direttivo faccia anche parte l’avvocato Giovanni Guercio, «figura storica delle battaglie per i diritti delle persone trans, il cui impegno civico ha loro permesso di raggiungere traguardi importantissimi in materia di riassegnazione di genere», ricorda a Linkiesta il recente tempo in cui, «prima della possibilità di utilizzare la carriera alias, vi erano molti casi di bullismo transfobico che spingeva i ragazzi e le ragazze a decidere di abbandonare il percorso di studio». Ecco perché, soggiunge amaramente, «nel momento in cui abbiamo appreso della diffida da parte di Pro Vita & Famiglia agli istituiti scolastici che adottano la “carriera alias”, abbiamo deciso di muoverci per difendere i diritti delle/degli studenti transgender come anche di supportare il “Primo Levi” di Badia Polesine. Non permetteremo che i nostri ragazzi e le nostre ragazze siano vittima di bullismo nelle scuole, come è successo in gran numero a noi nell’età della fanciullezza e dell’adolescenza». 

Già il 14 dicembre proprio Gender X aveva indicato in sintesi le ricadute positive della carriera alias nel comunicato redatto insieme con Libellula e poi sottoscritto da tantissime sigle associative Lgbt+, con cui si chiedeva al ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara di garantire, «in tutti gli istituti scolastici del territorio nazionale, la possibilità di attivare la carriera alias e di prendere provvedimenti di fronte ad episodi di discriminazione a sfondo transfobico compiuti all’interno dell’ambiente scolastico». 

Anche Jacopo Coghe, nel comunicare la notifica delle diffide di massa, aveva precedentemente invocato «un intervento risolutore» del titolare del dicastero di viale Trastevere, ma «per mettere fine una volta per tutte al proliferare incontrollato di questo ideologico abuso giuridico». Cosa, questa, che non meraviglia affatto, se si pensa che il portavoce di Pro Vita & Famiglia, nell’esprimere soddisfazione il 21 ottobre per il neo-governo Meloni, aveva riservato particolare attenzione proprio alla nomina di Valditara con l’auspicio di «potergli presto rappresentare le preoccupazioni delle famiglie italiane rispetto alle gravi lesioni della loro libertà educativa operata da quella che Papa Francesco ha più volte denunciato come la “colonizzazione ideologica” del gender». D’altra parte Coghe, in qualità di presidente di Generazione Famiglia, presentata sul sito dell’ex Miur (oggi Mim) nei termini di «braccio operativo iper specializzato nella scuola di Pro Vita e Famiglia Onlus», siede nel Forum nazionale delle associazioni dei genitori della scuola (Fonags), che, come noto, ha sede presso la Direzione generale per lo studente, l’inclusione e l’orientamento scolastico del ministero.

È necessario però riferirsi a un più ampio quadro transnazionale, fatto d’interconnessioni con partiti d’estrema destra e associazioni ultraconservatrici, quando si parla di Pro Vita & Famiglia. Ma anche di Generazione Famiglia, che, parte della prima, è dal 2015 la nuova identità de La Manif pour tous Italia, fondata nel 2013 da Coghe, dalla moglie Giuditta, da Maria Rachele Ruiu e da Filippo Savarese. Quest’ultimo, attuale direttore operativo dell’associazione a guida Brandi – che è stato fra l’altro presidente del World Congress of Families di Verona e ha fra i suoi più fedeli collaboratori Alessandro Fiore, figlio del leader di Forza Nuova Roberto – ha ricoperto fino al 2019 l’incarico di direttore delle campagne italiane della CitizenGO. Vale a dire, la fondazione d’origine spagnola, nel cui consiglio d’amministrazione siede, fra gli altri, Alexey Komov, putiniano di ferro e braccio destro del multimilionario russo Konstantin Malofeev, più noto come l’Oligarca di Dio, di cui sono stati svelati i legami con Gianluca Savoini, Roberto Fiore e Toni Brandi.

All’accennato quadro transnazionale si riferisce con chiarezza Cristina Leo, che a Linkiesta ricorda come all’edizione veronese del World Congress of Families, espressione di quel «movimento globale antiabortista, antifemminista, anti-Lgbt+ classificato come “gruppo d’odio” dal Southern Poverty Law Center», avessero partecipato dal 29 al 31 marzo 2019 «associazioni, capi di Stato, esponenti politici della destra radicale e cristiano-integralista di tutto il mondo. Ma anche tre ministri dell’allora Governo Conte I: Matteo Salvini, Lorenzo Fontana, Marco Bussetti, rispettivamente all’Interno, alla Famiglia e alla Disabilità, all’Istruzione. Il primo, all’epoca anche vicepresidente del Consiglio dei ministri, ha oggi, come noto, lo stesso incarico nel Governo Meloni nonché quello di titolare delle Infrastrutture e dei Trasporti, mentre il secondo è attualmente la terza carica dello Stato in qualità di presidente della Camera. Non bisogna infine dimenticare la presenza a Verona della stessa Giorgia Meloni come leader di Fratelli d’Italia».

Per la psicologa e vicepresidente di Gender X è interessante inoltre notare come persone vicine a Pro Vita & Famiglia e, più in generale, appartenenti alla variegata galassia dei pro life e pro family, «usino nel loro linguaggio sempre gli stessi mantra: “il pensiero unico”, “le lobby Lgbt+”, “la teoria del gender”. Ci sarebbe veramente tanto da dire. Ma la verità è che tali associazioni vogliono solo imporre, con tutti gli strumenti a disposizione, la loro visione della realtà: poco importa se poi a essere calpestati sono i diritti di una persona transgender o di una donna impossibilitata ad accedere all’aborto libero, sicuro, garantito o di una coppia omogenitoriale privata del pieno esercizio dei propri diritti a differenza di genitori eterosessuali o ancora di una persona che, pur essendo in condizioni critiche di salute, non può decidere della propria vita». Da qui il quesito di Cristina Leo, che riguarda tutte e tutti: «Essere pro life, significa questo? Arrogarsi il diritto di decidere per le vite altrui? Io non mi sognerei mai di imporre la mia visione del mondo a chicchessia. Senza accoglienza dell’altro, non c’è rispetto. E io non sono né accolta né rispettata da chi disconosce la complessità e l’unicità degli esseri umani. Quindi anche la mia di donna transgender». 

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