L’emerito popolareIl funerale di Benedetto XVI ha dimostrato la fragilità della vulgata giornalistica negativa

Le esequie del Papa emerito sono state brevi e sobrie, durate circa un’ora e un quarto. Ma la grande partecipazione e l’omaggio ininterrotto della folla per tre giorni hanno fatto capire che certe ricostruzioni mediatiche sulla reputazione di Ratzinger erano alquanto fantasiose

Associated Press/LaPresse

Più che sobrio, il funerale di Benedetto XVI è stato alla meno peggio in una piazza San Pietro, pur gremita di decine e decine di migliaia di fedeli, oltre centotrenta cardinali e trecento vescovi, 3.700 sacerdoti, rappresentanti di Case reali, numerosi capi di Stato, tra cui Sergio Mattarella, il tedesco Frank-Walter Steinmeier, il lituano Gitanas Nausėda, il polacco Andrzej Duda, il portoghese Marcelo Nuno Duarte Rebelo De Sousa.

Celebrate ieri mattina da Papa Francesco – che per motivi di salute ha presieduto la prima parte della Messa e il rito dell’Ultima Raccomandazione (Ultima Commendatio) e del Commiato (Valedictio) lasciando al cardinale decano Giovanni Battista Re la celebrazione della liturgia eucaristica, l’aspersione e incensazione del feretro – le esequie si sono infatti concluse nel giro di un’ora e un quarto. Un parroco ha commentato a Linkiesta, tra l’amaro e l’ironico: «È molto probabile che la mia messa funebre durerà un po’ di più di quella del Papa emerito».

Breve poi, generica e inconsistente l’omelia di Bergoglio, che ha pronunciato il nome del predecessore nella sola chiusa: «Benedetto, fedele amico dello Sposo, che la tua gioia sia perfetta nell’udire definitivamente e per sempre la sua voce!».

Come che sia, le partecipate esequie e l’ininterrotto omaggio della folla, che per tre giorni ha sfilato davanti alla salma del Papa emerito esposta nella Basilica di San Pietro, hanno soprattutto dimostrato la fragilità della vulgata giornalistica negativa, all’origine della leggenda nera su un Benedetto XVI odiato dalla gente e insensibilmente arroccato su posizioni da avvocato d’ufficio della Tradizione.

Insussistente e controproducente, di certo inidonea a stemperare gli animi, appare nondimeno certa narrazione panegiristica, che di Joseph Ratzinger continua a farsi dal 31 dicembre. A peggiorare il quadro vanno ad aggiungersi le piccate, talora velenose, dichiarazioni, che il suo segretario particolare, l’arcivescovo Georg Gänswein, continua a rilasciare alla stampa o sono comunque diffuse quali estratti del suo libro “Nient’altro che la verità. La mia vita al fianco di Benedetto XVI”, in uscita per i tipi Piemme il 12 gennaio.

Nulla a che vedere, in ogni caso, con fantasiose ricostruzioni mediatiche, come quella offerta ieri mattina da Andrea Purgatori e da Lucetta Scaraffia, inconsolabile vestale del pontificato ratzingeriano, che su La7 hanno parlato d’un Gänswein a tal punto irato da non concelebrare la Messa esequiale. Ignorando, dunque, che la partecipazione ai funerali di un Papa da parte del proprio segretario particolare è in abito corale come fece, ad esempio, Stanisław Dziwisz a quelli di Giovanni Paolo II.

E proprio Gänswein insieme con le fidate Memores Domini, alcuni cardinali, tra cui il decano Giovanni Battista Re e il vicario di Roma Angelo De Donatis, un ristretto gruppo di persone particolarmente legate a Benedetto XVI hanno assistito alla di lui tumulazione, avvenuta nelle Grotte Vaticane immediatamente dopo i funerali. Prima d’essere calata in quella che fu la tomba di Giovanni XXIII e quindi di Giovanni Paolo II, la bara di cipresso contenente le spoglie del Papa emerito, come da prassi, è stata legata con un nastro rosso a forma di croce – sui quali sono stati impressi i sigilli in ceralacca della Camera apostolica, della Prefettura della Casa Pontificia, dell’Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche e del Capitolo Vaticano –, e collocata in una doppia cassa di zinco e rovere.

Di Benedetto XVI resta ora il ricordo. Ma a fronte di tante ultime analisi e discettazioni sarebbe forse da leggere la sintesi della vita e del ministero di Joseph Ratzinger così come delineata dal Rogito, che, stilato in elegante latino e inserito in un cilindro metallico, è stato posto l’altrieri nella bara di cipresso insieme con i palli e le medaglie e monete coniate durante il suo pontificato.

Al di là dei dati biografici, particolarmente significativi i riferimenti alla promozione del dialogo ecumenico e interreligioso e al processo di ricomposizione dello scisma lefebvriano («dialogo cum anglicanis, iudaeis et aliarum religionum moderatoribus efficaciter favit, sicut et cum sacerdotibus e Communitate Sancti Pii X usus redintegravit»), alla lotta nel contrasto agli abusi su minori e persone vulnerabili («clericorum crimina contra minores seu vulnerabiles firmiter oppugnavit»), all’ampia produzione teologica, che ne costituisce il più ampio lascito («theologus probatae auctoritatis, insigne patrimonium studiorum pervestigationumque de praecipuis institutis fidei reliquit»).

Certo, si tratta pur sempre d’un testo appartenente al genere funebre-laudatorio. Ma le coordinate tracciate sono tali da indicare quali aspetti si dovranno soprattutto approfondire in futuro, per comprendere meglio la complessa personalità di un uomo, un teologo, un papa, che ha segnato la storia degli ultimi decenni.

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