Vocazione marmellataLa costituente del Pd è stata solo una scusa per far tornare i reduci bersaniani (che votano pure contro)

Non sono neanche passate 72 ore dal ritorno nel Partito democratico e i deputati di Articolo 1 si sono spaccati sul sostegno all’Ucraina. Ovvero l’unico tema su cui i dem avevano mantenuto una linea comune. Ormai il Nazareno è come un albergo con le porte girevoli

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La guerra di resistenza dell’Ucraina dunque entra in una nuova fase grazie all’impegno dell’Occidente a rafforzare i propri aiuti militari. Di fronte all’annunciata offensiva russa di primavera, l’Occidente conferma la sua unità. Può essere la premessa di una svolta a favore del «martoriato popolo ucraino», come lo definisce sempre il Pontefice.


Il fatto che il momento sia molto delicato è testimoniato tra l’altro dalla call tra Joe Biden, Emmanuel Macron, Olaf Scholz, Rishi Sunak e Giorgia Meloni, a riprova che malgrado la svolta del 25 settembre l’Italia è sempre ben dentro lo sforzo del mondo libero a fianco di Kijyv, come d’altronde ha confermato il voto di martedì della Camera che ha convertito il decreto che prevede il sostegno militare all’Ucraina fino a tutto il 2023, un voto che ha confermato l’asse maggioranza-Pd-Terzo Polo.

E tuttavia si sente come un brontolìo a sinistra – e non parliamo qui del dissenso di Giuseppe Conte e Nicola Fratoianni ma del Partito democratico che ha votato come sempre a favore degli aiuti all’Ucraina ma con un piccolo fatto nuovo. 

I fatti sono noti. Ma torniamo indietro un attimo: alle elezioni del 25 settembre, come si ricorderà, tutto quello che Enrico Letta riuscì a mettere insieme al Pd furono Articolo Uno, i bersaniani, e Demos, l’associazione vicina alla Comunità di Sant’Egidio. Si sa come andò a finire. Dopodiché martedì alla Camera l’unico deputato di Demos, Paolo Ciani, ha votato contro il decreto: questione di coscienza (ma decine e decine di deputati cattolici hanno votato il medesimo decreto e non risulta che siano stati scomunicati).

Invece la petit bande di Articolo Uno (cinque deputati) si è divisa, forse anche per tenere alta una lunga tradizione: tre hanno votato a favore (Roberto Speranza, Maria Cecilia Guerra e Federico Fornaro) e due non hanno partecipato al voto, questa formula furbetta che evita di votare espressamente no (si tratta di Arturo Scotto e Nico Stumpo). Finché c’è Guerra c’è Speranza, si potrebbe concludere con una battuta ma invece qui la questione è seria: politica più che di coscienza. 

Ora, a parte l’aspetto grottesco di dividersi in due parti essendo in tutto in cinque, il vero record è un altro: che solamente tre giorni prima Articolo Uno pur senza solennità è di fatto entrato nel Pd (siccome non gli piace dirlo così, loro preferiscono dire che sono entrati nella “Costituente”: che cosa sia nessun lo sa). Cioè 72 ore dopo l’ingresso in un partito che tiene ferma la barra del sostegno militare alla Resistenza ucraina hanno già dissentito, e sul tema più cruciale di questa fase storica, la guerra. 

C’è da dire che la stessa cosa ha fatto Laura Boldrini, che venerdì scorso ha preso la tessera del Pd è subito gli ha votato contro (anche lei non ha partecipato al voto). Si dice: la coscienza è libera. Per carità. Ma fin dove arriva, la libertà di coscienza? Fino al punto di cozzare con le coscienze di chi, per esempio, ti ha votato nei collegi uninominali (come nel caso di Paolo Ciani, eletto a Roma 1? Fino al punto di far venire dei dubbi sulla opportunità politica di imbarcare posizioni così diverse da quelle del partito e del gruppo parlamentare? 

Insomma – come dice Arturo Parisi – «possono coesistere due linee opposte dentro uno stesso partito su un argomento come la guerra?». Allora il problema è questo: il congresso del Pd non ha portato al partito nessun altro se non i bersaniani, e dunque dal punto di vista della geografia interna ha subìto uno spostamento “a sinistra” nel senso dell’antimilitarismo, dell’antiamericanismo, del “pacifismo integrale”, tutte posizioni non mediabili con quella ufficiale. 

E si è costruito un mostruoso ambaradan congressuale (la “Costituente”, appunto, il comitato dei “Saggi” che pretendeva di riscrivere il Manifesto sulla base della critica al capitalismo) unicamente per consentire il ritorno di Bersani e dei suoi seguaci, al netto della presenza fisica di Massimo D’Alema (ma non, a quanto pare, del dalemismo). 

La domanda è dunque se questa operazione si debba a una un po’ penosa ricerca di qualche voterello o se invece il Pd immagini davvero una sua ripresa trasformandosi in un partito-marmellata dove si può fare qualunque cosa, dire tutto e il suo contrario, perpetuando quell’età dell’incertezza che ne ha determinato la sconfitta elettorale, con un Nazareno come un albergo con le porte girevoli dove ogni tanto arriva chiunque.  Questa non è vocazione maggioritaria. Questo è trasformismo. 

Quanto ad Articolo Uno, non è obbligatorio aderire tutti al Pd: c’è il Movimento 5 stelle, c’è Sinistra Italiana. A meno che Scotto&Stumpo non pensino di traghettare il Pd verso Giuseppe Conte, che è il Grande Progetto di Bettini e D’Alema e di altri (anche Elly Schlein?). D’altronde ieri Scotto lo ha detto chiaramente ad Huffington Post: «Il Pd ormai è un’altra cosa». Fossimo in Stefano Bonaccini ci staremmo attenti, a questi qua.

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