A soli due giorni dalle sobrie esequie in piazza San Pietro, Benedetto XVI è stato ricordato con ben altra solennità, sia pur nella mestizia del rito, nella Seconda Roma. Sabato pomeriggio Istanbul, storico ponte tra Occidente e Oriente e crocevia di etnie, culture, religioni, ha visto infatti radunarsi autorità, tra cui il governatore Ali Yerlikaya, componenti del corpo diplomatico, fedeli di diverse confessioni cristiane presso la sede del Vicariato apostolico.
Nell’ottocentesca cattedrale dello Spirito Santo, principale luogo di culto cattolico della città a mezza via tra piazza Taksim e Nişantaşı, l’arcivescovo Marek Solczyński, nunzio apostolico – per capirsi, l’ambasciatore vaticano – in Turchia, Azerbaigian e Turkmenistan, ha presieduto il pontificale in suffragio del Papa emerito. A concelebrare con lui gli arcivescovi Ramzi Garmou, arcieparca caldeo di Diyarbakır, e Boghos Lévon Zékiyan, arcieparca di Costantinopoli degli Armeni, nonché i tre presuli di rito latino Martin Kmetec (arcivescovo di Smirne), Paolo Bizzeti (vicario apostolico dell’Anatolia) e, ovviamente, Massimiliano Palinuro, che quale vicario apostolico d’Istanbul e, dunque, “padrone di casa” ha voluto e organizzato la cerimonia nei minimi particolari.
Rispondendo così al suo invito, hanno inoltre partecipato, in compagnia delle rispettive delegazioni, anche il patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I, il patriarca armeno di Costantinopoli Sahak II Mashalian, il metropolita e vicario patriarcale siro-ortodosso a Istanbul e Ankara Yusuf Çetin. La messa di suffragio si è così configurata, commenta Palinuro a Linkiesta, quale «grande momento non solo ecclesiale ma anche ecumenico». Un’ulteriore riprova, dunque, della particolare sollecitudine di Joseph Ratzinger nel promuovere il dialogo con le altre confessioni cristiane e, in particolare, con quella ortodossa.
L’ha rilevato nel suo splendido discorso Bartolomeo I, che, esattamente un mese fa, s’era fra l’altro nuovamente imposto alla generale attenzione nel condannare, ancora una volta con durezza, l’invasione dell’Ucraina, denunciare il panslavismo quale base ideologica dell’aggressivo espansionismo russo, puntare il dito contro il suo omologo moscovita Kirill, promotore della tesi della “Santa Russia” (Rousskii Mir) e artefice d’una fede ridotta a «colonna vertebrale dell’ideologia del regime» putiniano.
Indiscussa l’importanza delle parole, con cui il patriarca di Costantinopoli, riconosciuto detentore d’un primato d’onore sulle altre Chiese ortodosse e per questo insignito del titolo d’ecumenico, ha tracciato il suo inedito ritratto di Benedetto XVI. Ha così ricordato la personale e consolidata conoscenza, risalente a ben prima dell’elezione di Ratzinger a vescovo di Roma, la reciproca e fruttuosa collaborazione nei quasi otto anni di pontificato, il fondamentale contributo di Benedetto XVI alla promozione del dialogo tra la Chiesa cattolica romana e quella ortodossa, il mantenimento di rispettosi e amicali rapporti anche dopo la di lui rinuncia al ministero petrino.
Bartolomeo I ha soprattutto rilevato come Benedetto XVI, durante il suo viaggio apostolico in Turchia (28 novembre – 1 dicembre 2006) avesse visitato ufficialmente il Fanar, sede del Patriarcato ecumenico, e sottoscritto nella Sala del Trono, insieme con lui, una storica Dichiarazione comune. Particolare emozione, poi, nel rammentare l’invito dell’allora pontefice a tenere il 18 ottobre 2008, nella Cappella Sistina, un discorso ufficiale sulla Parola di Dio ai cardinali, presuli, sacerdoti, fedeli partecipanti alla XII Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi.
Dopo aver raccontato d’aver sentito una volta Benedetto dire d’aver conosciuto meglio l’ortodossia proprio grazie ai suoi studenti ortodossi – tra essi si ricordano, ad esempio, nomi dal calibro di Stylianos Harkianakis e Damaskinos Papandreou –, Bartolomeo I ha particolarmente elogiato «la forza d’animo e il coraggio» di Ratzinger nel dimettersi da vescovo di Roma, compiendo così un gesto cui non si assisteva da oltre seicento anni, ossia dalla consimile rinuncia fatta da Gregorio XII il 4 luglio 1415.