Pietro Franzese, blogger brianzolo, nell’estate 2022 ha pedalato per 4.700 chilometri da Milano a Capo Nord con una bici a scatto fisso, senza l’aiuto del cambio. Nello stesso periodo, un itinerario simile è stato percorso dal videomaker e fotografo pugliese Emiliano Fava, che è però partito da Santa Maria di Leuca, suo paese natale. Soci, amici, compagni di viaggio che, dopo qualche mese, hanno deciso di alzare ulteriormente l’asticella e di varcare l’oceano.
Nell’ambito dell’iniziativa “2 Italians Across the US” (patrocinata dal Comune di Milano), pedaleranno per seimila chilometri da San Francisco (Golden Gate) a Miami (Key West). Venticinquemila chilometri di dislivello, due mesi di viaggio (partenza il 16 gennaio e volo di ritorno da Miami il 20 marzo) tra il Camino Del Diablo, l’altopiano texano, le Bayou della Louisiana, il Joshua Tree National Park, le Everglades in Florida e altri spazi sconfinati che solo gli Stati Uniti possono regalare. Un’avventura coast to coast che in pochi hanno osato affrontare a bordo di una bicicletta (rigorosamente non elettrica).
Franzese e Fava dormiranno sempre e solo in tenda, anche nel deserto, senza ricevere alcun tipo di aiuto esterno o appoggio tecnico. Un viaggio autosufficiente sotto ogni punto di vista, contraddistinto da un nobile obiettivo: informare e sensibilizzare sul tema dell’inquinamento da materiali plastici. Gli Usa sono il Paese che produce più plastica pro capite all’anno (circa centotrenta chilogrammi al giorno), ed è probabile che questi rifiuti stiano recando danni anche agli ecosistemi desertici.
Il problema è che i dati sull’inquinamento da plastica nel deserto sono pochi, e soprattutto in Europa abbiamo un’idea vaga della portata del problema: «La plastica non va demonizzata, è un materiale fantastico ma va usato e smaltito nel modo giusto. Siamo molto curiosi di verificare di persona l’inquinamento da plastica nel deserto», racconta a Linkiesta Pietro Franzese, che per questo viaggio lascerà in Italia la sua bici a scatto fisso («sarebbe proibitivo, soprattutto nella parte da San Francisco a San Antonio») e opterà per una gravel dal bikepacking ibrido.
I due cicloviaggiatori hanno già aperto un crowdfunding per raccogliere fondi a sostegno dell’associazione Plastic Free, una onlus contro l’inquinamento da plastica composta da più di duecentocinquantamila volontari: «Non sarà una scampagnata. Dietro a questo viaggio c’è tanto lavoro, non è una vacanza. È un’ansia positiva quella che sto provando ora: ogni volta che viaggio sembra sempre la prima. Io ed Emiliano siamo entrambi arrivati a Capo Nord: volevamo uno stimolo in più, maggiormente avventuroso. È da tanto che viaggio solo in Europa e cercavo qualcosa in più», dice Franzese.
Quel «qualcosa in più» è anche la voglia di raccontare questo folle viaggio non attraverso un semplice video-recap su YouTube e Instagram: «Vogliamo girare un vero e proprio docufilm, ma ci servirà energia per alimentare i nostri dispositivi. Sarà difficile filmare tutto, perché vogliamo creare un docufilm e non il classico video di YouTube. Avremo due powerbank e un pannello solare portatile, ma non sarà facile razionare il tutto perché nel deserto non c’è letteralmente nulla», spiega Pietro Franzese.
Ma il deserto non preoccupa solo nell’ottica della realizzazione del docufilm. Tra l’altopiano del Texas e il deserto di Sonora (circa ottocento chilometri), i due cicloviaggiatori saranno quasi totalmente isolati, in totale sinergia con la natura. La bicicletta sarà un’estensione dei loro corpi. «Affronteremo tratte da duecento chilometri senza neanche una stazione di servizio. Durante il giorno ci saranno una ventina di gradi, ma di notte la temperatura toccherà lo zero. Portare l’attrezzatura giusta e versatile è una vera sfida».
Sabato 14 gennaio, dalle ore 10, Franzese e Fava faranno una sorta di pedalata di riscaldamento di cinquanta chilometri dalla Darsena (Milano) all’aeroporto di Malpensa, dove lunedì 16 partirà il volo che – assieme alle loro biciclette – li porterà nella West Coast statunitense. L’iniziativa odierna sarà una preziosa occasione per lanciare la raccolta fondi e organizzare un clean-up dei rifiuti plastici lungo l’itinerario.
«Vogliamo divertirci e goderci il viaggio, ma al contempo fare qualcosa di utile e che rimanga nel tempo. La pianificazione non è tanta, non ci sono tappe precise e chilometri stabiliti sulla carta: sarebbe impossibile, oltre che limitante. Vogliamo essere liberi. Se un giorno vogliamo fare duecento chilometri, lo faremo (la tappa più lunga del suo viaggio da Milano a Capo Nord è stata di 173 chilometri, ndr). Per restare nei tempi, però, dovremo farne cento al giorno come minimo», racconta un Pietro Franzese alle prese con un comprensibile mix di emozioni che solo un pre-partenza del genere può regalare. «A Capo Nord ho imparato a pedalare nei grandi spazi – basti pensare alla Lapponia – e a farcela da solo per tanti chilometri in cui cibo e acqua non sono a disposizione. Non vedo l’ora di godermi i paesaggi sconfinati degli Stati Uniti».