I lettori sono ormai una razza in estinzione. Sappiamo bene che per molti, non solo i più giovani, è ormai anacronistico cercare in un libro cose da imparare e persino l’esperienza della letteratura. C’è stato un tempo nel quale gli scaffali delle librerie erano il vero campo di battaglia delle idee. In quegli anni, che hanno lasciato un’impronta indelebile sulla nostra identità collettiva, che è ancora lì anche ora che nessuno legge più, le idee per il libero mercato non erano nemmeno in partita. In un Paese di cinquanta milioni di abitanti, non c’erano dieci economisti “liberisti”. La stessa parola, “liberista”, era utilizzata come insulto all’interno di un Partito che aveva nel nome l’aggettivo “liberale”.
Per sostenere posizioni simili a quelle che oggi fa proprie l’Istituto Bruno Leoni ci voleva davvero coraggio: non solo spericolatezza individuale, anche il coraggio fisico di rischiare il peggio, prendendo la parola in un consiglio di facoltà o in qualsiasi assemblea.
Aldo Canovari ne prese atto e, seguendo una naturale inclinazione alla ricercatezza e alla pignoleria che non guasta in un editore, decise di fare qualcosa. Fece i libri di Liberilibri. Creò una casa per proposte editoriali che non sarebbero mai finite nel catalogo dei grandi editori e che tuttavia avrebbero reso nuovamente cogente una prospettiva, quella del liberalismo classico, che solo pochi anni prima sembrava consegnata al dimenticatoio della storia.
Certo, ci furono Margaret Thatcher e Ronald Reagan e, in Italia, la fine della prima repubblica, l’esplosione della questione settentrionale, l’ingresso del tema fiscale in un dibattito politico che fin lì l’aveva eluso. Ma Canovari e LiIberilibri aiutarono a strutturare questi temi nel dibattito pubblico, diedero punti di riferimento intellettuali precisi, se non fermarono almeno circoscrissero l’impulso di liquidare un pensiero solido come rivendicazione politica estemporanea.
Canovari mise un tetto intellettuale sopra le questioni molto concrete del garantismo e importò autori e titoli che aprirono le finestre negli asfittici ambienti del liberalismo italiano. Il nome di Bruno Leoni sarebbe rimasto sconosciuto, senza la sua imprenditorialità culturale. Le parole che scelse di pubblicare incisero sul vocabolario della politica e sulle istanze della società italiana ben al di là della cerchia dei suoi lettori, in una misura della quale lui forse non si avvide mai appieno.
Gli animatori di questo Istituto, in qualche modo, s’incontrarono e si riconobbero grazie a lui , a quanto aveva pubblicato, alle idee che ci aveva insegnato a conoscere e che lo aiutammo a far conoscere a nostra volta. È venuto a mancare la scorsa settimana, dopo anni di sofferenze. La sua straordinaria opera, che ha pochi paragoni nella storia della cultura politica in Italia, verrà un giorno riconosciuta per quello che fu: una grande avventura.