Le discussioni degli ultimi mesi intorno al Superbonus al 110% e agli altri bonus edilizi si sono concentrate soprattutto sul loro costo, che, secondo le stime di Banca d’Italia, si aggira intorno ai 120 miliardi di euro. Un tema di cui si parla meno, però, non è tanto il costo in sé, ma il confronto tra la quantità di risorse investite nel settore dell’edilizia rispetto al resto dell’economia.
Secondo quanto ha spiegato Giacomo Ricotti, capo del servizio assistenza e consulenza fiscale della Banca d’Italia, in audizione alla Camera, le risorse che lo Stato investe nell’edilizia, e in generale sulla casa, sono moltissime. Superbonus, ecobonus e altri bonus edilizi, da soli, peseranno sulle finanze pubbliche circa 15 miliardi all’anno per i prossimi tre anni.
Oltre agli incentivi per le costruzioni, spendiamo moltissimo anche per i proprietari di casa. È il caso della cedolare secca sugli immobili, che semplifica il sistema, ma comporta un vantaggio enorme per i proprietari, che vedono il reddito da locazione tassato meno dell’aliquota minima per il reddito da lavoro. Insomma, il proprietario di un quadrilocale da 700 euro al mese per stanza a Milano paga un’aliquota inferiore a un dipendente che guadagna 20mila euro l’anno, semplificando e assimilando i due tipi di reddito. La cedolare secca venne introdotta per far emergere il sommerso, ma, così come avvenuto per molti bonus edilizi, si è preferito non fare un’analisi costi-benefici. Secondo uno studio presentato su lavoce.info, però, l’effetto sul sommerso è stato modesto, a costo di due miliardi in meno di entrate fiscali in media all’anno.
Decidere di puntare sull’edilizia è una scelta che hanno fatto moltissimi Paesi, dato che gli investimenti nelle costruzioni permettono sia di creare lavoro e incrementare il Pil, sia di generare ricchezza immobiliare per i cittadini. Il problema è che, una volta avvenuta la “ricostruzione”, bisognerebbe concentrarsi su altro. Il mercato immobiliare è molto esteso e integrato negli Stati Uniti e nei grandi Paesi europei. Ne conosciamo tutti l’importanza e, memori della Grande Recessione del 2008, sappiamo cosa può accadere nei momenti in cui le cose vanno male in quel settore. Quasi nessun grande Paese, però, punta sull’immobiliare e sulle costruzioni come motore della propria crescita. Un esempio di economia trainata dall’edilizia? La Turchia, non esattamente un modello di sviluppo.
Il settore delle costruzioni è di fondamentale importanza e va tutelato, ma questo non sembra giustificare l’ammontare di risorse dedicate, considerando anche che presenta spesso ambienti di lavoro pericolosi, condizioni contrattuali e salariali poco trasparenti e un larghissimo ricorso al sommerso. Attenzione: questo non significa che tutti i costruttori evadono le tasse o che il muratore non è un lavoro dignitoso come gli altri, ma semplicemente che, forse, l’edilizia non è il settore su cui vogliamo puntare per il nostro futuro.
Economie più avanzate, come gli Stati Uniti, hanno deciso sì di puntare sulle infrastrutture, ma sociali. Il piano “Build Back Better” di Joe Biden per rilanciare l’economia dopo la pandemia non prevedeva solo investimenti in costruzioni, ma anche sulla creazione di una “infrastruttura sociale”, con maggiori fondi per l’educazione, per la sanità o per la gestione dei carichi familiari, oltre che forti investimenti in ricerca e nuove tecnologie. Un Pnrr fatto bene, insomma.
A proposito degli investimenti in ricerca, fa impressione vedere come il nostro Paese spenda per gli incentivi al settore edilizio cinque volte tanto rispetto a quanto fa per stimolare gli investimenti in tecnologie innovative. Industria 4.0 ha contribuito in maniera sostanziale alla (poca) crescita italiana nella seconda metà dello scorso decennio. Gli incentivi ad acquistare macchinari e tecnologie all’avanguardia hanno permesso alle imprese di aumentare la propria produttività e di diventare più competitive all’interno dei mercati comunitari e internazionali. Eppure, nonostante il suo valore sia stato ampiamente riconosciuto, mentre l’efficacia dei bonus edilizi è stata messa più volte in discussione, il rapporto di spesa nei due campi continua a essere di uno a cinque.
Non si parla di decidere quale settore è meglio di un altro, ma di “allocazione efficiente di risorse scarse”. Immaginate se il governo decidesse di raddoppiare lo stipendio dei collaboratori scolastici per attirare i migliori bidelli in circolazione e garantire che le scuole siano sempre perfettamente pulite e in ordine. Per farlo, però, dovrebbe rinunciare a raddoppiare lo stipendio agli insegnanti, una misura che avrebbe potuto attirare professori migliori e aumentare la qualità dell’istruzione. La situazione è più complessa di così, naturalmente, ma questo piccolo esempio aiuta a capire quanto sia importante definire le proprie priorità.
Siamo sicuri di stare puntando sulle giuste priorità?