Secoli illuminatiIl Medioevo è molto meno buio di come ce lo immaginiamo

Illuminato da torce e lampadari, questo periodo storico è connotato dalla luce. Le candele accompagnano le anime a Dio, le fiamme ardono nell’Inferno. Il fuoco da addomesticare è portatore di vita e pericolo costante: brucia gli eretici e divora gli edifici, ma illumina il cammino dei viandanti

Foto dell'incendio di Notre Dame a Parigi
AP Photo/Thibault Camus

«Secoli bui», «età dei lumi»: queste espressioni diametralmente opposte stanno a indicare due periodi ben distinti della storia, entrambi descritti con metafore poggiate sulla luce o sulla sua assenza.

La prima definizione evoca un panorama del tutto negativo, terribilmente retrogrado, in cui la violenza e l’ingiustizia la fanno da padrone: uomini prepotenti di rara arroganza, «barbari», distruggono la civiltà pressoché perfetta che l’età classica, sua culla dorata, ha lasciato loro in eredità, segnando dunque un grande passo indietro della Storia.

Oggi si sente ancora troppo spesso impiegare l’espressione «secoli bui» per definire il Medioevo. Un’etichetta che nasce con Francesco Petrarca e, rafforzata da Cesare Baronio (1538-1607), cardinale ed erudito, noto soprattutto per aver scritto il Martirologio Romano, si estende a indicare il periodo compreso tra la fine istituzionale dell’Impero romano d’Occidente – non la sua caduta! – e il Rinascimento.

Poi, pian piano, la sua applicazione sembra riferirsi più ai secoli dell’Alto Medioevo. Essa starebbe a individuare, come accennato, un’età di particolare arretratezza e comunque di regresso demografico, civile, culturale, economico e istituzionale – un vero disastro –, rispetto a una luminosa epoca classica, madre di tutto il progresso dell’umanità, e a una successiva rinascita che su quella stessa classicità muoveva i suoi primi passi: il Rinascimento.

Facendo una rapida indagine con Books Ngram Viewer – il motore di ricerca ideato da Google per quantificare in percentuale l’uso di specifiche parole o espressioni in tutte le pubblicazioni da esso digitalizzate –, inserendo «Dark Ages», i grafici restituiscono un impiego di tale etichetta anche usata in senso critico ovviamente, che dimostra il suo successo e la sua popolarità lungo il XIX e XX secolo; tale dato segnala al contempo il lento spegnersi del suo utilizzo, sino appunto alla quasi scomparsa, mentre «secoli bui» assume rilevanza a partire dagli anni Sessanta del Novecento.

Il cambiamento è forse veicolato da una acquisita capacità da parte di chi scrive di storia di elaborare nuove e più consapevoli, sotto il profilo del contenuto, «etichette» periodizzanti, e in parte dal successo della Public History che, criticando stereotipi e cliché, contribuisce a diffondere la conoscenza di un Medioevo «meno buio».

La seconda espressione – «età dei lumi» –, al contrario, descrive un’era di grande apertura, di progresso tecnologico, di conquiste intellettuali, economiche, scientifiche e politiche; l’abbandono dei modelli feudali e l’avanzata delle lettere e delle scienze in una società nella quale si affermavano evidentemente più evolute forme di governo.

Il riferimento alla luce cristallizzato nella lingua anche in queste due espressioni è indicativo del rilievo che tale elemento, e i rimandi simbolici a esso legati, hanno avuto nelle civiltà del passato più o meno recente.

Se l’uso di «secoli bui» nell’accezione sopra ricordata è fuorviante e storicamente insensato, e per questo è stato sottoposto a una serrata critica che ne ha evidenziato inesattezze, anacronismi e incongruenze, storici e storiche lo hanno ritenuto invece calzante nella rappresentazione della realtà quotidiana dei secoli bassi del Medioevo, in maniera altrettanto fuorviante.

Di certo allora il buio era più intenso, diffuso e duraturo di quanto non lo sia ai giorni nostri, e l’illuminazione artificiale più costosa. Abituati oggi in un mondo, quello occidentale in particolare, in cui il buio non esiste quasi più, annichilito dai colpi della corrente elettrica, risulta ancor più difficile immaginare una realtà che apparentemente a esso si arrendeva e che scandiva i suoi ritmi in sua funzione.

In effetti non era così. Attraverso lo studio delle candele, soprattutto, e degli strumenti per l’illuminazione, in generale, questo libro intende presentare un Medioevo molto meno buio di quel che si pensa, un Medioevo illuminato da torce e lampadari, da fuochi «lavorati» e lumi.

Addomesticare il fuoco, dominarlo, piegarlo per limitarne il pericolo e per servirsene, non era semplice – ancora oggi sono incalcolabili i danni prodotti dagli incendi – ed era costoso. Il fuoco, per l’appunto, costituiva un pericolo costante; elemento naturale, portatore di vita e calore ma anche produttore di morte, se pensiamo a un’epoca in cui la maggior parte degli edifici era costruita ancora in prevalenza in legno e paglia.

Non dovrà destare meraviglia dunque che la luce generata dal fuoco costituisca per i medievali un elemento di stupore e di paura, e, proprio per queste caratteristiche, un’espressione del divino e al tempo stesso del demonio, sbalorditivo e spaventoso.

E così si spiega che le fiamme delle candele accompagnino le anime fino a Dio e al contempo le fiamme dell’Inferno accolgano i peccatori; che le fiamme impreziosiscano stemmi araldici e che come fuochi artificiali ante litteram si accendano sulle torri cittadine, che illuminino il cammino dei viandanti ma pure che brucino eretici.

Il fuoco e la luce, in effetti, sono tra gli elementi più connotanti dell’età medievale, cioè dei «secoli bui».

Copertina Età del Lume

Da “L’età del lume” di Beatrice Del Bo, Il Mulino, 312 pagine, 20 euro.

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