Sono il Molise e la Calabria le due regioni d’Italia in cui è maggiore il rapporto tra automobili e abitanti, dopo Valle d’Aosta e Trentino Alto Adige.
Vi sono rispettivamente 732 e 709 veicoli ogni mille persone, più che nella benestante Lombardia (624), più che nelle terre dei motori, il Piemonte e l’Emilia Romagna (682 e 660). Più, anche, che in importanti e ricche aree d’Europa, come la Catalogna, dove si scende a 463 auto ogni mille residenti, le contee irlandesi, le province olandesi.
Cosa significa? Il dato più rilevante è che il possesso e l’uso delle quattro ruote non è strettamente collegato al reddito come si potrebbe di primo acchito pensare. Lo si nota confrontando la mappa del Pil pro capite con quello della densità di auto: non corrispondono.
Il Sud Italia, in particolare, spicca. Rispetto alla popolazione, ci sono più automobili che in Spagna, in Belgio, in Svezia. Qualcosa di simile accade in Polonia.
Se volessimo creare un indice della quantità di veicoli in proporzione al reddito, ecco che il Mezzogiorno sarebbe in testa. E la Calabria, in particolare, sarebbe al secondo posto assoluto, dopo la Valle d’Aosta, appena prima della Sicilia e di diverse regioni polacche.
Anche i poveri guidano. Anche se magari con una macchina vecchia. Non a caso l’Italia è nel gruppo di testa nella classifica sulla spesa annua per famiglia per i carburanti, ma dietro la media se consideriamo quella per l’acquisto di auto nuove. In quest’ultimo indice abbiano numeri più simili ai Paesi dell’Est, forse non a caso.
È una conferma della situazione peculiare del nostro Paese, popolata da quella che Ricolfi chiama «società signorile di massa», abituata a un tenore di vita elevato, con tassi di possesso dell’auto o della casa anche più alti di quelli di aree in cui, però, i redditi sono molto maggiori. Una società signorile decaduta e in decadenza, però, che non ha le sostanze per rinnovare o ristrutturare gli asset posseduti.
Questa contraddizione rischia di deflagrare con gli obblighi della direttiva sulle “Case green” e l’accordo sul divieto di vendita di auto a diesel e benzina dal 2035. Potrà, tra dieci anni, il pensionato calabrese ammodernare la propria casa e cambiare la propria vecchia macchina con una elettrica?
Il problema è che questo tipo di spesa, l’acquisto di nuovi autoveicoli, è tra le più diseguali che esistano: coloro che fanno parte del venti per cento che consuma di più versa a questo scopo quasi cento volte tanto il venti per cento che consuma meno, e che è presumibilmente meno ricco.
Si tratta di uno squilibrio persino superiore a quello che riguarda consumi voluttuari come quelli per ristoranti e hotel: in questo caso i più ricchi spendono “solo” 12,12 volte più dei più poveri. Nell’ambito dell’abbigliamento la differenza tra la spesa dei più facoltosi e dei più indigenti è di 3,53 volte, ovvero il 353,3 per cento, mentre in media se consideriamo tutti i consumi (incluso il cibo, tra i più egualitari) è di 2,55 volte.
Anche gli esborsi per la manutenzione e la riparazione delle auto tra l’altro presentano un andamento ancora più ineguale di quello del turismo.
Come è facile immaginare, sono i disoccupati e gli inattivi quelli che sborsano meno per comprare nuovi veicoli o per ripararli, mentre imprenditori e liberi professionisti sono tra coloro che hanno più risorse a disposizione anche per questi beni e servizi.
Tuttavia anche i disoccupati, i lavoratori precari, i pensionati con l’assegno minimo dovranno mettere in conto una spesa obbligata tra alcuni anni.
Possiamo voler vedere il bicchiere mezzo pieno e pensare che la programmeranno, sapendolo in anticipo, mettendo da parte le risorse necessarie, oppure mezzo vuoto, sospettando che tutti fino all’ultimo non ci penseranno o daranno per scontata una qualche deroga, un rinvio, e ovviamente dei sussidi.
Sarebbe troppo facile dare giudizi di merito qui, magari sul legislatore europeo improvvido oppure sull’italiano medio poco previdente.
Il punto fondamentale è invece imparare la lezione, come non replicare il modello di sviluppo, culturale, urbanistico che ha portato a questa situazione, un modello che ha portato, in alcuni casi costretto, anche i più poveri a possedere un’auto, per quanto sgangherata e inquinante.