Non era mai successo. Che una pre-presentazione del Salone del libro di Torino – la prima di quelle che tradizionalmente scandiscono l’avvicinarsi dell’evento primaverile, in un sapiente dosaggio di segreti gelosamente serbati e anticipazioni oculatamente largite – si aprisse e chiudesse in un’ora scarsa non era mai successo.
È stato svelato – ma qualche giornale birbone l’aveva già spoilerato – il tema dell’edizione numero 35 (dal 18 al 22 maggio), “Attraverso lo specchio”, che è un invito implicito a fare come Alice, a varcare la soglia della superficie riflettente per esplorare i mondi che si trovano oltre quella barriera. Sono stati annunciati i primi nomi degli ospiti internazionali: i Nobel Svetlana Aleksievič e Wole Soyinka, Peter Cameron, Virginie Despentes, Barry Gifford, il fondatore delle guide “Lonely Planet” Tony Wheeler, per un tocco di pop Amanda Lear. È stato presentato il nuovo manifesto (bruttino, ma non è una novità), è stata celebrata la conquista di nuovi spazi nell’ambito di Lingotto Fiere (raddoppiati nel giro di pochi anni, evviva).
Ha parlato, naturalmente, il direttore uscente Nicola Lagioia, hanno parlato il presidente di Intesa Sanpaolo Gian Maria Gros-Pietro, nel cui grattacielo si è tenuta la conferenza, il sindaco di Torino Stefano Lo Russo, il presidente della Regione Piemonte Alberto Cirio, il presidente del Circolo dei lettori (organizzatore della manifestazione per la parte culturale) Giulio Biino, con Silvio Viale, presidente di “Torino, la Città del Libro” (l’associazione che ha riunito i creditori della Fondazione per il libro liquidata nel 2017 e che gestisce la parte economica) a fare la parte di Amadeus. Gran finale con tutta la valorosa squadra del Salone chiamata sul palco da Lagioia per una foto di gruppo. E via, tutti a casa.
Neppure sfiorato il nodo (sempre) più aggrovigliato – e del resto nessuno si aspettava che sarebbe stato sciolto in questa occasione -, ossia il nome del nuovo direttore che nell’imminente edizione dovrebbe affiancare Lagioia per cominciare a farsi le ossa, e dal 2024 sostituirlo. Si annaspa ancora nell’incertezza. Alla manifestazione d’interesse, pubblicata lo scorso 21 novembre, avevano risposto 53 candidati. Il prescelto doveva essere annunciato prima di Natale, poi si era slittati all’11 gennaio, poi al 12, e adesso si slitta e basta, senza più un orizzonte temporale. Pressioni politiche, veti incrociati, simpatie e antipatie. E l’impressione, che al di là delle dichiarazioni ufficiali, tra le parti volino gli stracci. Con un sospetto: che la manifestazione d’interesse fosse una foglia di fico, fumo negli occhi per nascondere il fatto che il nome era stato scelto fin dall’inizio.
O almeno. Non è un mistero che l’associazione “Torino, la Città del Libro”, che nel Comitato direttivo del Salone esprime tre voti su sette (per la nomina del direttore ne servono sei), aveva puntato su Paolo Giordano, torinese, premio Strega come Lagioia, apprezzato in Italia e all’estero (ma inesperto di organizzazione di eventi: forse era questo il suo pregio, che sotto sotto qualcuno pensava di poterlo manovrare a piacimento?). Senonché le critiche dello scrittore al governo di destra hanno fatto scattare il veto della medesima coalizione che regge la Regione Piemonte (un voto) e che ha proposto in alternativa il nome meno schierato di Elena Loewenthal, direttore uscente del Circolo dei lettori (due voti). Il Comune (un voto) traccheggia, cercando di mediare.
Nell’impasse si sono ventilate altre candidature, tutte autorevoli: da Giuseppe Culicchia, storico collaboratore del Salone, a Loredana Lipperini, conduttrice di Fahrenheit su RadioTre e a sua volta nella squadra del Salone, a Oliviero Ponte Di Pino, curatore della milanese Bookcity, a Gianluigi Ricuperati, scrittore e organizzatore culturale, a Bruno Ventavoli, curatore del supplemento Tuttolibri della Stampa. Niente da fare. Si è allora pensato di ripiegare su una soluzione di compromesso, che nelle ultime ore sembrava poter rappresentare la quadra, un ticket Giordano direttore e Loewenthal vice, che ha però incontrato le comprensibili resistenze dei due interessati, resistenze non di carattere personale, la stima reciproca è immutata e ribadita (sebbene la seconda, a denti stretti, abbia alla fine manifestato la sua disponibilità e anche il primo dia l’impressione di essersi rimangiato l’iniziale diniego). E così si continua a aspettare Godot.
Il tutto, hanno lamentato in molti, senza minimamente prendere in considerazione i curricula dei candidati, senza neppure interpellarli sui loro programmi. Addirittura senza escludere l’eventualità di ricorrere a nomi esterni alla manifestazione d’interesse, con il duplice risultato di mortificare chi vi ha partecipato e di denunciare una strana scarsa attrattività della proposta. Strana perché il ruolo è di indubbio prestigio, ma forse non tanto strana alla luce di quanto sta accadendo. Tanto che qualcuno è tentato di forzare la mano a Lagioia e chiedergli di fermarsi ancora un po’. Una prorogatio: suvvia, anche Mattarella ha dato l’esempio…
Da quasi due anni si sa che Lagioia, in sella dall’edizione del 2017, non era intenzionato a rimanere. Lo scrittore, chiamato al capezzale del Salone, tra non poche perplessità, nel momento più difficile – quando i maggiori editori, con la benedizione dell’Aie, avevano deciso di organizzare un salone in proprio a Milano e quello di Torino era unanimemente dato per spacciato, e nonostante a ostacolare il suo lavoro si sia messa anche l’emergenza Covid che ha costretto a trasferire online il programma del 2020 e a far slittare in autunno quello del 2021 -, è riuscito con il suo frenetico attivismo, la sua intelligenza, la sua fantasia, la sua rete di contatti, il suo travolgente entusiasmo, nel miracolo di respingere prima e poi disintegrare il “nemico” (la fiera milanese “Tempo di libri”, e chi se la ricorda più…), consolidando la manifestazione del Lingotto come una delle più importanti del settore a livello internazionale.
Ma nella paralisi che ora non lascia intravedere sbocchi, o prelude a sbocchi molto problematici, quod non fecerunt barbari – ci passino la forzatura i secessionisti del 2016-17 – rischiano di farlo i torinesi. Che anziché attraversare lo specchio, come Alice, potrebbero, come Narciso, continuare a rimirarvisi decantando i fasti passati. Per scoprirsi di colpo, un giorno, come Dorian Gray.