Codice rossoPerché la sanità toscana rischia il collasso

Un disavanzo strutturale da mezzo miliardo, mancanza di personale, liste d’attesa gestite male e il nodo del payback. Sono solo alcuni dei problemi che stanno facendo implodere il modello sanitario della Regione

«Senza lilleri un si lallera». È tra i detti più famosi in Toscana, ed è un invito a essere realisti: vuol dire che è inutile pensare in grande, sviluppare progetti importanti o fantasticare senza i soldi (lilleri) per farlo. Un concetto che, da un po’ di anni, non sembra però valere per il servizio sanitario della Regione Toscana.

Il sistema regionale, infatti, è alle prese con una serie di problematiche frutto di anni di sprechi e riforme poco lungimiranti. Per intenderci: il disavanzo strutturale dei conti delle aziende sanitarie in Toscana si aggira attorno al mezzo miliardo. In altre parole, mancano 500 milioni di euro nelle casse della Regione per far fronte al fabbisogno del sistema sanitario.

L’ammissione arriva dallo stesso presidente della Regione, Eugenio Giani, che ha puntato il dito sul fatto che il Fondo Sanitario Nazionale assegna alla Toscana meno risorse di quelle necessarie a far pareggiare i conti. Giani ha spiegato che «per mantenere il sistema è necessario individuare e aggiungere risorse ordinarie della Regione» e che per questo, nella terza variazione dei conti per il 2022, ha previsto un trasferimento di 36 milioni di euro da altre voci di bilancio alla parte corrente della sanità. Briciole rispetto alle necessità, in un anno che ha visto ridursi la spesa per il Covid rispetto al 2021 solo di qualche decina di milione di euro, a fronte invece di un aumento dei costi energetici calcolato per ora in 200 milioni in più.

Ma andiamo con ordine. La Toscana vanta da sempre uno dei miglior complessi ospedalieri in Italia, come certifica anche l’ultimo rapporto appena pubblicato dal Ministero della salute, secondo cui la Regione è riuscita a garantire i livelli essenziali di assistenza, in sanità, anche durante la pandemia.

Un riconoscimento che tuttavia stride, per molti versi, con la realtà dei fatti. La gestione di servizi e risorse delle varie amministrazione che si sono susseguite negli anni ha seguito il principio del consenso politico, ovvero quello di ottenere effetti tangibili ma di breve durata. Come nel caso della delibera 1220 (in procinto di essere riformata) promulgata dall’allora direttrice dell’assessorato alla Salute, Monica Calamai, nel 2019, che aveva stabilito che per ricucire sulle liste d’attesa operatorie e dare massimo spazio ai pazienti toscani, le cliniche private convenzionate avrebbero dovuto bloccare gli interventi sui non toscani. Obiettivo della norma di tre anni fa era abbattere le liste d’attesa, ma, secondo Acop (l’associazione coordinamento dell’ospedalità privata), avrebbe solo tolto dalle casse della sanità pubblica regionale 100 milioni ogni biennio.

Rimanendo in tema, dalla Corte dei Conti è arrivata poche settimane fa una bocciatura per i ritardi nel recupero proprio delle liste d’attesa. Si tratta del risultato di un’indagine approvata dalla Sezione regionale di controllo per la Toscana, che certifica le difficoltà del sistema sanitario regionale nell’assorbire le richieste dei pazienti con una dura critica all’inefficienza del Cup, il sistema di prenotazione, e all’impatto del «no show», l’alto numero di appuntamenti disponibili ma non messi a disposizione all’utenza in tempi adeguati. I giudici rilevano «purtroppo persistenti disfunzioni del sistema nel garantire il generalizzato e tempestivo accesso alle prestazioni sanitarie» e invitano la Toscana a «un più sollecito impiego dei finanziamenti statali destinati allo scopo dalla legge di stabilità per il 2019 che la Regione ha già totalmente incassato, ma che alla fine del 2021 risultavano quasi del tutto inutilizzati per la realizzazione delle infrastrutture informatiche».

Quello delle spese è un punto dolente. Secondo alcuni documenti, che Linkiesta ha potuto consultare, lo Stato, nel 2019, aveva destinato alla Regione 26 milioni di euro per superare le liste d’attesa, ma ad oggi ne sono stati spesi solo 4. Mentre in termini di entrate: dal governo Draghi sono state stanziate risorse per coprire parte delle spese Covid, ma ancora non sono a bilancio perché manca l’accordo per la ripartizione tra le Regioni. Alla Toscana dovrebbero spettare circa 90 milioni, 100 ad essere ottimisti. Non di più. Ed è l’unica certezza, al momento.

Il grosso della partita si giocherà sul payback, un sistema di rimborsi che le aziende farmaceutiche devono alle Regioni: alla Toscana spetterebbero 90 milioni per il payback farmaceutico e 390 per quello delle attrezzature medicali. Ma solo in teoria. Le aziende farmaceutiche hanno sempre contestato la legge sul payback e fanno resistenza nell’erogare i rimborsi, oppure li erogano solo in parte, aprendo puntualmente dei contenziosi legali.

Ma i problemi non finiscono qui. «In Toscana i pronto soccorso sono al collasso, c’è una carenza di personale del 25% degli organici, mancano circa 400 medici nel comparto della medicina d’emergenza, e da oltre un anno si stanno susseguendo dimissioni a raffica di personale impiegato nei Dea (dipartimento di emergenza accettazione ndr)» spiega il capogruppo di Forza Italia al Consiglio regionale della Toscana, Marco Stella.

Solo a Firenze, nell’ultimo anno, venti medici sono fuggiti dai pronto soccorso. Mancano 1200 tra infermieri e operatori socio-sanitari, e circa 700 medici su tutto il territorio regionale. Molti scelgono di fare il medico di famiglia o di andare a lavorare a gettone per cooperative in subappalto nella sanità pubblica di altre Regioni. La Toscana ha detto no a questo modello, ma ora rischia la fuga in massa, visto che i gettoni possono valere fino a 100 euro l’ora.

Per tutti questi motivi, a inizio febbraio sono state presentate le linee programmatiche che le Aziende Sanitarie dovranno recepire nei prossimi quattro mesi, per ridisegnare l’architettura della nuova assistenza socio-sanitaria territoriale. I pilastri della nuova riforma sono chiari: integrazione e potenziamento delle cure domiciliari, sviluppo della sanità di iniziativa (percorsi per gestire meglio le malattie croniche) e presa in carico sul territorio, anzitutto dei soggetti più fragili e degli anziani.

Niente assunzioni, però. Anzi, probabilmente gli organici dovranno essere un po’ limati. Quando si parla di far calare i dipendenti non significa certo licenziamenti: con 55 mila lavoratori, il sistema sanitario toscano vede decine di uscite per pensionamento ogni settimana; si tratterà, all’inizio, di bloccare il turn over, per arrivare all’obbiettivo regionale e poi poter sostituire di nuovo coloro che escono per anzianità o perché si trasferiscono in un’altra Regione o nel privato. Il meccanismo pensato dall’assessorato rende tuttavia le cose un po’ difficili ai direttori generali, in quanto ci sono settori che hanno grandi carenze, come i pronto soccorso, le terapie intensive e alcune chirurgie, che avrebbero bisogno di un gran numero di nuovi assunti.

Infine, c’è la questione geografica. La sanità toscana deve fare i conti con un Regione morfologicamente complessa per spostamenti e logistica delle infrastrutture ospedaliere. E così la crisi sanitaria morde soprattutto nelle piccole realtà, come nel caso di Castel del Piano, dove sono ormai presenti i rimasugli di quello che una volta era un ospedale. «Non vi è un anestesista, non vi sono specialisti se non occasionalmente. Ma c’è di più: durante la notte esiste un solo medico, quello del pronto soccorso che deve gestire tutto il plesso ospedaliero. A questo si aggiunge la strutturale e annosa mancanza di posti letto che per il polo amiatino con fatica raggiunge la metà della media nazionale, a fronte di una popolazione molto anziana e con problematiche di salute multiple», denuncia un politico locale.

Senza contare poi la gestione dell’elisoccorso, fondamentale per i paesi più difficili da raggiungere. «Dal 2009 la Regione paga ogni anno milioni di euro di soldi pubblici per affidare il servizio di elisoccorso sanitario a una multinazionale privata e, parallelamente, costringe a terra gli elicotteri dei Vigili del Fuoco, nonostante siano già pagati dalla fiscalità generale. Un utilizzo sbagliato delle risorse dei toscani che si finiscono così per pagare un servizio due volte. E non stiamo parlando di spiccioli, visto che tra il 2013 e il 2020 le spese per il Pegaso sono passate da 12,4 milioni a 18,3 milioni di euro. Un’enormità che potrebbe essere almeno in parte compensata affidando il servizio ai Vigili del Fuoco esattamente come accade in altre regioni d’Italia, Emilia Romagna in testa», aggiunge la Cinque Stelle Irene Galletti, ex candidata alla presidenza della Regione Toscana.

A venire incontro alle difficoltà della sanità toscana ci sono i tempi lunghi per l’approvazione del bilancio che verrà chiuso solo nella primavera del 2023. Anche se il rischio di un commissariamento – che comunque non si configurerebbe prima dell’estate – adesso non sembra un’ipotesi così lontana.

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