Il solo fatto che per qualche giorno si sia imposto sulle prime pagine dei giornali e nei dibattiti televisivi l’uso di questa dicitura, «borseggiatrici rom», dice molto bene quanto sia andato in desuetudine – sempre che sia mai stato in funzione – il comune dovere di controllo e contenimento dell’aberrazione razzista.
Semmai ci si è divisi in questi altri due fronti. Il fronte di quelli che senza tante storie reclamavano attenzione e provvedimenti speciali per quella notoria categoria delinquenziale, da un lato, e dall’altro lato il fronte di quelli che invece ne proteggevano il diritto alla privacy: brutte sporche e cattive, come negarlo? Ma siamo democratici e quindi non le fotografiamo.
Che tra le tante emergenze italiane che alimentano, e di cui si alimenta, la monnezza giornalistica abbia fatto capolino la “questione rom”, evidentemente, non arreca disturbo a nessuno. Né a chi la pone – questo è chiaro – ma nemmeno a chi se la vede opposta, cioè a dire la sinistra cui si addebita di volerle mandare in giro liberamente, le “borseggiatrici rom”: la sinistra che mica risponde come si deve, e cioè che dire «borseggiatrici rom» è come dire «negri assassini» o «ebrei usurai», e invece replica che non è vero, noi volevamo solo tutelare i i bambini e le gravide in carcere, ma figurarsi se siamo teneri con le «borseggiatrici rom».
Il criterio è pressappoco quello del giornalismo democratico che mette in riga gli antisemiti che prendono di mira il naso di Elly Schlein, volgari mistificatori della verità rino-progressista impegnati a censurare le reali origini etrusche di quella protuberanza ingiustamente incolpata di giudaicità.
E così tutti dentro a discutere dei delitti delle borseggiatrici rom, dei diritti delle borseggiatrici rom, dei figli delle borseggiatrici rom, dei feti delle borseggiatrici rom, del carcere duro o del carcere morbido per le borseggiatrici rom, del pugno di ferro contro le borseggiatrici rom o della rieducazione delle borseggiatrici rom e neanche uno, letteralmente neanche uno, a denunciare che l’uso stesso di quell’espressione è potenzialmente il preludio di una reazione sociale e di una giustizia che indugiano meno sul furto che sulla condizione etnico-razziale di chi lo commette. Con l’inevitabile conseguenza – ed evidentemente neppure questo pericolo è avvertito – che quella condizione diventa una specie di premessa incriminatrice.
E dunque: non fa effetto a nessuno, proprio a nessuno, che a qualche decennio di distanza dai saggi sulla «piaga zingara» qui si discuta senza perplessità del tema delle «borseggiatrici rom»?