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Bilancio positivoIl lavoro che c’è e i lavoratori che mancano: luci e ombre della ripresa occupazionale italiana

Nel 2022 si sono registrati in media oltre mezzo milione di posti di lavoro in più, con un aumento dei contratti a tempo indeterminato. «Le aziende italiane mostrano di essere in salute e hanno la necessità di stabilizzare nuove professionalità, anche a causa della forte criticità di reclutamento di personale», spiega Andrea Malacrida, country manager di The Adecco Group in Italia. «Occorre intervenire sul reddito di cittadinanza e sul decreto dignità»

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Il 2022 del mercato del lavoro italiano si chiude con un bilancio positivo, nonostante la crisi innescata dal conflitto in Ucraina e l’inflazione galoppante. Rispetto al 2021, si sono registrati in media oltre mezzo milione di posti di lavoro in più (+545mila). Con una crescita costante, proseguita anche nella parte finale dell’anno: gli occupati nel quarto trimestre sono stati centoventimila in più (+0,5 per cento) rispetto ai tre mesi precedenti.

«Non sono dati inaspettati», commenta Andrea Malacrida, country manager di The Adecco Group in Italia. «Queste cifre confermano il trend economico positivo del nostro Paese, in continua ripresa».

L’incremento non è solo il risultato di un recupero delle perdite subite nei settori più colpiti dalla pandemia, ma anche un segnale di ripresa della dinamica occupazionale. L’aumento riguarda l’industria (+3,9 per cento) e, con intensità maggiore, i servizi (+5,1 per cento).

L’aspetto interessante della fotografia scattata dall’Istat è il cambiamento nella mappa del mercato del lavoro rispetto al rimbalzo post pandemico. Laddove la ripresa economica dopo l’emergenza sanitaria si era fondata principalmente sui contratti a termine, emerge ora un aumento dei rapporti di lavoro stabile.

Nell’ultimo trimestre del 2022, si contano centosessantaseimila dipendenti a tempo indeterminato in più, che hanno più che compensato il calo di quelli a termine (-36mila in tre mesi) e degli autonomi (-9mila in tre mesi). Su queste variazioni, però, potrebbe aver pesato anche la riduzione del ricorso alla cassa integrazione. Nella metodologia di calcolo dell’Istat, i lavoratori in cig da più di tre mesi sono infatti conteggiati come non occupati. L’uscita dall’ammortizzatore, quindi, potrebbe aver inciso sui numeri positivi dei contratti stabili, che non sarebbero quindi tutti nuovi contratti.

«L’incertezza post Covid aveva portato a una maggiore propensione all’uso dei contratti flessibili», conferma Malacrida. «Ora, nonostante l’incertezza sia la medesima, o forse anche maggiore tra inflazione e costi energetici, le aziende italiane mostrano di essere in salute e hanno la necessità di stabilizzare nuove professionalità, anche a causa della forte criticità di reclutamento di personale. Una carenza di manodopera che non riguarda solo profili altamente specializzati, ma anche professionalità molto operative».

Il tasso di posti vacanti, pari al 2,4 per cento, a fine 2022 cresce infatti di 0,2 punti percentuali sia rispetto al trimestre precedente sia rispetto allo stesso trimestre del 2021.

«Le modifiche sul reddito di cittadinanza e sulle politiche attive legate al sussidio, nell’agenda della ministra del Lavoro Marina Calderone, provano a rispondere anche a questa difficoltà di reclutamento e ci lasciano ottimisti per il futuro», spiega Malacrida. «In questo momento si registra una carenza di personale anche nei settori in cui di solito l’Italia non ha avuto criticità, come il turismo, i trasporti e altri settori prioritari per il made in Italy come il fashion».

Sulla scarsità di lavoratori incide, poi, l’invecchiamento della popolazione. «Manca offerta di lavoro anche per ragioni demografiche: è impossibile far fronte ai bisogni del mercato solo con la popolazione italiana», spiega Malacrida. «Motivo per cui, da anni, è diventato centrale l’ingresso di un numero sempre maggiore di lavoratori stranieri». Ma occorre anche un cambio di rotta nell’orientamento e nella formazione: «Bisogna lavorare sulla occupabilità e la spendibilità dei lavoratori sul mercato, creando competenze in linea con i bisogni delle aziende».

Per far funzionare ancora meglio la macchina, secondo il country manager di The Adecco Group in Italia, serviranno anche interventi normativi sui contratti. «Occorre aprire alla possibilità di usare i contratti in somministrazione anche per i posti di lavoro legati al Piano nazionale di ripresa e resilienza», spiega. «E poi servirà intervenire anche sul decreto dignità, che ha generato una forte precarizzazione, obbligando le aziende a sostituire lavoratori al dodicesimo mese per via di causali anacronistiche che hanno provocato un irrigidimento dei rapporti di lavoro».

Il tutto mentre, invece, tra dimissioni volontarie e transizioni occupazionali anche da un settore a un altro, i dati Istat dimostrano un maggiore dinamismo del mercato italiano. Prova ne è il fatto che, nonostante nella ricerca di lavoro continui a prevalere l’uso del canale informale – rivolgersi a persone che si conoscono direttamente rimane la pratica più diffusa anche se la quota è in diminuzione (pari al 75,3 per cento, -4,1 punti) – risulta in aumento l’utilizzo di azioni di ricerca più formali, come l’aver sostenuto un colloquio o aver partecipato a una selezione di lavoro (26,6 per cento, +4,0 punti), l’essersi rivolti al Centro pubblico per l’impiego (25,6 per cento, +5,9 punti), l’aver contattato una agenzia privata di intermediazione o somministrazione (21,2 per cento, +2,6 punti).

«Il comparto della ricerca e selezione è cresciuto in maniera esponenziale», conferma Malacrida. «Non erano mai stati raggiunti i livelli del 2022. L’aumento delle dimissioni e il rimbalzo economico hanno aumentato la necessità, da parte delle aziende, di attirare e trattenere i talenti».

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