Sono cresciuta pensando che la politica fosse una cosa distante e anche un po’ noiosa: un gruppetto di persone, soprattutto uomini, che parla tanto ma che fa poco, e con poche conseguenze per la mia vita quotidiana. È per questo motivo che non ho mai simpatizzato per un partito, che – confesso – non ho sempre esercitato con costanza il diritto di voto e che ho studiato economia puntando sul giornalismo finanziario e non sulle cronache parlamentari.
Poi, un po’ per caso, mi sono trovata a scrivere di politica e il mio mondo si è spalancato: non solo la politica è alla base di quasi tutto – quante tasse paghiamo, il nome che portiamo sui documenti, quanto costa un filone di pane –, ma imparare le regole ufficiali e quelle informali di dove la politica si esercita (i palazzi del governo, il Parlamento, i bar del centro, i ministeri e le banche centrali…) aiuta a prevedere un po’ il futuro.
I meccanismi in politica si ripetono, come le stagioni, e conoscerli permette di capire se un governo sta per entrare in crisi, su quali leggi e su quali riforme punterà, e che tipo di alleanze faranno i partiti (spoiler: non c’entra la simpatia personale, ma la legge elettorale in vigore).
Scrivo per Bloomberg, una delle maggiori agenzie stampa al mondo, e il mio compito è raccontare la politica italiana agli stranieri traducendo queste dinamiche in conseguenze tangibili sulle loro scelte di investimento.
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Il mio lavoro è quello di raccontare e spiegare le scelte della politica (anche evidenziando qualche paradosso e controsenso), ma sempre da un osservatorio neutrale e privo di giudizi; questa è la lente che ha questo libro, anche nei passaggi che riguardano la mia famiglia.
Ma partiamo dall’inizio: che cos’è la politica? Tutti noi intuitivamente sappiamo cosa vuol dire, ma trovare una definizione unica è quasi impossibile. È un termine che fa parte del vocabolario di base e lo usiamo sia per indicare il governo in carica e i partiti politici che lo compongono, sia per dare un’etichetta alle nostre idee e alla nostra identità.
Anche se a volte la diamo per scontato, «politica» è una parola potente in quanto è sia scienza, quella di governare, sia emozioni, in quanto le leggi approvate dal Parlamento, le decisioni di un governo, e le sentenze dei tribunali hanno un impatto diretto sulla nostra vita. La parola «politica» deriva da quella greca pólis, città-stato, e il percorso dallo Stato – ovvero l’organizzazione politica e giuridica che regola la convivenza di una popolazione in un territorio delimitato da confini – ai cittadini avviene attraverso il governo e le leggi in vigore, che determinano i diritti e i doveri di ognuno di noi. In italiano la stessa parola, «politica», identifica entrambi i concetti, ma basta tradurla in inglese per sdoppiare il significato in due termini ormai entrati nel nostro vocabolario: politics, la politica che indica il consenso popolare, e la policy, la politica pubblica, quella delle decisioni pratiche che risolvono questioni concrete.
Se questa è la definizione teorica, c’è un momento esatto in cui ognuno di noi entra in contatto con la politica per la prima volta. Non è il momento in cui nasciamo, ma quello in cui veniamo registrati con un atto di nascita, e iniziamo a esistere per lo Stato con un nome, un cognome e un codice fiscale. Ogni giorno in Italia si firmano circa mille atti di nascita, e nulla nel processo con cui si redige questo documento è lasciato al caso. Non lo è la dimensione delle pagine del registro in cui l’atto viene conservato – 32 per 44 centimetri come stabilito da un decreto ministeriale del 1958 – e non lo è la procedura, che non è quasi cambiata da quella indicata in un decreto regio del 1939, quando l’Italia è un regno, e a capo del governo c’è Benito Mussolini. Siamo al mondo da poche ore, e la politica ha già una regola che cambia le nostre vite: come registrare la nostra nascita. Quando nasce un bambino, i genitori hanno a disposizione dieci giorni per dichiarare l’evento negli uffici del comune di residenza, dove firmano l’atto insieme all’ufficiale di stato civile, che può essere il sindaco o una persona da lui delegata. Si tratta dello stesso ufficiale che celebra matrimoni e unioni civili, e che firma gli atti di morte. A quel punto, trasmette una copia dell’atto originale che viene depositata nella prefettura che ha competenza nella zona.
Nel 1997 la procedura è stata modificata così che adesso è possibile dichiarare la nascita direttamente nell’ufficio amministrativo dell’ospedale; sì, proprio quella stanzetta difficile da trovare, nascosta in fondo a mille corridoi tutti uguali, tra un ambulatorio e un centro analisi. Questa è ormai la procedura più comune, ma esistono molte eccezioni che riflettono come le regole in vigore in un Paese si plasmino sull’unicità di un cittadino. Le formule utilizzate in un atto di nascita sono standard, ma modulabili in base della famiglia. Se i genitori del neonato sono sposati si usa la formula «nato dalla donna coniugata con», e questo è l’unico caso in cui un atto di nascita può essere firmato solo da un genitore, per esempio il padre, in quanto l’altro genitore è «presunto». In altre parole, se due persone sono sposate si dà per scontato che entrambi siano i genitori. Invece, se un uomo e una donna non sono sposati, devono firmare entrambi e di persona l’atto, che in questo caso usa l’espressione «unione naturale».
È solo dal 2012 che i figli nati da un uomo e una donna non coniugati hanno gli stessi diritti legali dei figli legittimi, quindi nati all’interno del matrimonio, e questo è stato reso possibile con una modifica del Codice civile che ha anche riconosciuto i vincoli parentali derivati, quindi con i nonni e gli zii. In altre parole, fino al 2012 i figli nati da genitori sposati avevano maggiori tutele legali rispetto ai figli nati da un uomo e una donna non sposati.
Se per me ci sono voluti diversi anni per capire quanto la politica cambi la nostra esistenza, a mio figlio sono bastate sei ore di vita. La legge che regola la registrazione dell’atto di nascita di un nuovo nato, infatti, non prevede un caso, ossia quello in cui i genitori siano dello stesso sesso: due mamme o due papà. Non esiste una legge nazionale che contempli la possibilità che due persone dello stesso sesso figurino come genitori, ma non ne esiste neanche una che lo vieti, e in questo caso la decisione spetta all’ufficiale di stato civile, quindi al sindaco. È questo il caso della mia famiglia ed è il motivo per cui, per poter firmare l’atto con cui nostro figlio inizia a esistere per la politica, quando lui ha sei ore di vita io e mia moglie schizziamo a 130 chilometri orari sul grande raccordo per correre negli uffici del comune di Fiumicino, dove risiedo. Il sindaco Esterino Montino è uno dei pochi in Italia a firmare atti di nascita che indicano come genitori due donne. Firmare un atto di nascita con due mamme è un gesto politico, una dichiarazione di intenti che può segnare l’inizio di lunghe battaglie, anche se noi in quel momento ancora non lo sappiamo.
Il 3 gennaio, il giorno della sua nascita, mio figlio viene riconosciuto dalla politica con due mamme come genitori, con i loro due cognomi e con la formula «progetto familiare». La politica italiana è concreta, pratica. È codice fiscale, è fascia di reddito sulla quale sono calcolate le tasse, è sussidio in caso di disoccupazione e maternità, è diritti civili. Circa un anno dopo quella corsa in auto dall’ospedale, la politica vissuta dalla mia famiglia e quella italiana che racconto su Bloomberg come giornalista cambiano contemporaneamente e all’improvviso. Ripercorrere quello che succede nei mesi successivi è un’ottima occasione per scoprire le regole che fanno girare la politica.
Da “That’s Politica!” (Vallardi), di Chiara Albanese, p. 256, 15,90€