Il cammino è lungo, ma lo spettatore, per quanto pronto a scommettere che quella di Eco sia tra le più grandi collezioni di libri del mondo, non immagina quanto. Il professor Eco infatti cammina tra gli scaffali della sua biblioteca con l’intenzione di andare a prendere il volume più lontano dal punto di partenza, quello dove il regista Davide Ferrario ha dato il via al gioco.
Una piccola sfida che gli ha consentito di filmare per un po’ il padrone di casa mentre si muove nel suo mondo. Cioè, nella sua biblioteca. Che è appunto il mondo: c’è chi lo esplora sui pattini a rotelle! Succede nel film Umberto Eco – La biblioteca del mondo, di Davide Ferrario, una produzione Rossofuoco in collaborazione con Rai Cinema, presentato in anteprima qualche mese fa (da Belleville scuola di scrittura e festa del cinema di Roma) e ora pronto a sbarcare nelle sale cinematografiche d’Italia.
Un film che vale la pena di vedere perché è un ritratto importante del protagonista, una riflessione necessaria sulla memoria e un ragionamento profondo sulla natura del libro. Non senza ironia, naturalmente. Perché è stata la cifra del grande scrittore, che ha fatto di quella monumentale conoscenza uno strumento fantastico di divulgazione in forma di leggerezza.
Lo vediamo, per esempio, seduto davanti alla televisione con un nipotino a cui spiega, mentre passa la pubblicità, che non deve credere a tutte quelle parole perché si tratta di un messaggio promozionale. Poi però inizia il telegiornale e il nipotino sottolinea che dunque anche quelle parole non saranno tutte vere… e lo spettatore assiste in diretta a una lezione di semiotica formato bambino.
Poi ci sono i figli e la moglie, ci sono altri intellettuali che parlano di Eco e soprattutto dei suoi libri. Poi c’è Eco, animale da palcoscenico e grande affabulatore, oppure intervistato dalle televisioni di mezzo mondo, poi ci sono i suoi libri, quelli di cui è l’autore e i suoi scritti… Ma soprattutto c’è un’idea: la biblioteca come simbolo e realtà della memoria collettiva. Senza memoria, dice Eco in questo documentario, l’uomo è come una pianta, un vegetale.
Ecco perché la biblioteca è un luogo creativo e vivo, mai semplicemente una conservatoria o un archivio: in quello spazio-mondo i libri sono gli strumenti per costruire teorie, idee, altri libri, approfondimenti, viaggi immaginari e (forse) anche sogni. La biblioteca è il luogo dell’approfondimento, dello studio e della curiosità dove creare opere aperte. Lo sono tutte le biblioteche (e in questo film se ne visitano di splendide), ma non lo è Internet. Il motivo? Non stimola la memoria perché non si sente il bisogno di ricordare qualcosa. Non solo: troppe informazioni fanno rumore e il rumore non è uno strumento di conoscenza.
Torniamo ai suoi scaffali, stracolmi di volumi. Venticinque anni fa, racconta Eco proprio all’inizio del film, erano trentamila, poi non ha più avuto tempo di contarli. E se quell’intervista, girata da Ferrario in occasione della Biennale di Venezia e usata solo in piccolissima parte è stata l’occasione per tornare a casa Eco, questo film va molto più in là: conduce il pubblico nel fare creativo dello scrittore, nel suo ispirarsi, nel suo scombinare le carte per ricomporle in un pensiero decisamente geniale. «A chi viene a casa mia per la prima volta, scopre la mia biblioteca e non trova niente di meglio che chiedermi “Li hai letti tutti?”, io ho diversi modi di rispondere. Uno è “No, questi sono solo quelli che devo leggere la settimana prossima. Quelli che ho già letto sono in università”. La seconda risposta è: “Non ho letto nessuno di questi libri. Altrimenti perché li terrei?”». Parola di Umberto Eco (e perfetto titolo di viaggio per approcciare questo film).