Nuovo cinema panopticonGuardare per ore gli streamer che allestiscono le loro stesse torture

Le maratone su Twitch sono una sfida non richiesta alla salute fisica e mentale, volutamente kitsch e a tratti irritanti, ma anche un’incredibile fonte di reddito. Esce per Nottetempo un viaggio dentro le passioni digitali della famigerata Gen Z

Un set di streaming
Foto di Roberto Nickson, Pexels

Per rendere subito chiaro quanto Gennaro sia diventato rilevante in una parte di questo universo basta un semplice aneddoto. Una volta si è ritrovato inserito in una video-compilation su YouTube dedicata ai migliori momenti di Twitch a livello mondiale: un certificato di qualità. E, creando a sua volta una specie di meta-contenuto, con orgoglio si è guardato e riguardato in diretta in questa collana da centinaia di migliaia di view, come due abissi che si fissano negli occhi per poi arrossire dalla vergogna.

«Ngul’… Sono finito nelle clip mondiali di Twitch, uaglio’… Sono finito nelle clip mondiali di Twitch!» In quell’estratto lo si vede dormire durante una delle sue famigerate maratone, mentre ad Alexa viene comandato «Accendi neve!» e dei piccoli fiocchi finti gli si posano lentamente addosso. Il format delle maratone live, o subathon, si basa sulla totale, ininterrotta e colossale trasmissione in streaming dell’intera vita del creator per un periodo limitato, eppure lunghissimo, di tempo. Senza sosta e con rari coni d’ombra.

Funziona così: lo streamer attacca la diretta, fa partire un conto alla rovescia e invita ad abbonarsi o fare delle donazioni. Ogni sub o offerta arrivata consentirà di aggiungere dei secondi a questo timer, allungando così la durata della trasmissione: la live finisce quando il countdown torna sullo zero, con l’obiettivo però di tenerla viva il più possibile – sottoponendo il protagonista dello show a una specie di sovrumano esperimento sociale per 24 ore al giorno, ma consentendogli di guadagnare, alla fine, anche migliaia di euro.

Il risultato, quindi, è che più donazioni si raccolgono, più tocca restare in diretta. E più la maratona ingrana – e Gennaro è noto per questa gigantesca, insidiosissima operazione – più lo streamer si sente in dovere di portarla a termine, per non perderci la faccia e non passare per uno scammer, chi dà una fregatura ai propri iscritti chiedendo del denaro senza però prestarsi alla performance promessa.

In linea teorica, ogni diretta delle subathon potrebbe non finire mai, a meno che lo streamer non pattuisca con la propria chat un monte massimo di ore prima di iniziarla, non decida che è il momento di abbandonare il progetto scammandola, o non si esauriscano le donazioni. Il senso però è che in qualsiasi istante, e sotto pagamento, la conclusione della live può essere spostata più in là, allontanando il traguardo per il suo autore, e dilatando enormemente la possibilità di interagire a distanza nel suo quotidiano.

Come nel caso delle sleeping stream – che, per forza di cose, di questo colossale esercizio fanno pienamente parte – le maratone sono allo stesso tempo una sfida non richiesta alla salute fisica e mentale dello streamer, un’incredibile miniera d’oro per il costante materiale prodotto a favore di camera, e un potenziale, gigantesco cestinone di vimini in cui raccogliere anche centinaia di euro al giorno semplicemente vivendo.

Alcune di queste dirette sono volutamente essenziali, in ossequio alle origini di un genere che in Italia, in qualche forma molto ridotta, era già stato portato alla notorietà tra il 2017 e il 2018 dal collettivo di youtuber Mates con le “Live da 48 ore”: il setup richiede strumenti di base come un computer, un programma per il broadcasting e (almeno) una videocamera. Altre invece vengono arricchite di meccanismi ingegnosi, ritrovati della domotica e intelligenze artificiali in combutta con gli utenti a casa. Esattamente come quelle di GSkianto.

La prima subathon di Gennaro che possiamo considerare rilevante risale più o meno al 2019. La porta avanti insieme a “MatteoHS”, altro specialista del genere, qui un po’ Virgilio e un po’ spalla. Passano giornate intere davanti a videocamere e schermi, scontornati male su un fondale grafico di un viola acceso, e con in alto un contatore a segnare le ore accumulate e quelle che restano. A lato, una pioggia di commenti ed emotes (emoticon spesso animate, caratteristiche di Twitch). In audio, il ripetersi ossessivo di alcune delle loro più emblematiche esclamazioni, usate a mo’ di notifiche audio per annunciare l’arrivo di una donazione.

Tra grafiche malfatte e jingle offensivi sparati di continuo nelle orecchie degli spettatori, in queste maratone tutto sembra essere pensato per risultare respingente, fastidioso, volutamente kitsch, a tratti irritante. Eppure i due resteranno in diretta per più di un mese tra scherzoni, momenti culinari, coreografie ironiche, chiacchiere e sveglie traumatiche: 900 ore di diretta non-stop, circa 40.000 utenti unici totali raggiunti, con picchi di 8000 contatti contemporanei. Un abbonamento al canale valeva due minuti e mezzo in più sul contatore, i trenta secondi costavano attorno a un euro di donazione. A conti fatti, un trionfo.

Il successo dell’operazione permette poi a entrambi di crescere in termini di fan, viewer e iscritti, e al nome di GSkianto, in particolare, di circolare grazie ad alcuni estratti della maratona diventati poi noti anche fuori da Twitch: quello in cui ondeggia conturbante, maglia troppo corta per la stazza, sulle note del Ballo del cannolo. Quello in cui, approfittando della possibilità di trasmettere anche fuori casa via smartphone, sembra essersi incastrato sul sedile di un McDonald’s e quasi non riesce ad alzarsi. Quello in cui sfonda il letto saltandoci sopra. Tutto materiale che gli permette di rafforzare la propria immagine.

Gennaro acquisisce quindi dimestichezza con mezzo e format, e comincia ad andare in diretta durante maratone tecnologicamente sempre più avanzate. Arricchisce la propria dotazione tecnica, e fa di casa sua – all’epoca un appartamento alle porte di Milano, prima del successivo ritorno a Napoli in una casa riempita tragicamente di telecamere – un set pensato non solo per le dirette, ma per consentire agli spettatori di interagire con l’ambiente, e modificarlo, attraverso le donazioni: arreda la stanza con i neon d’ordinanza, fondamentali nell’immaginario delle stream; dota il letto di schermi e rilevatori di decibel; allestisce tutto attorno a sé un bouquet di strumenti domestici, una “macchina” spara-bollicine, un tubicino per l’acqua, un ventilatore, uno scatolone pieno di neve finta, un paio di amplificatori. Li punta tutti verso il letto.

Compra un Echo di Amazon, lo installa e lo addestra affinché Alexa possa attivare tutti questi marchingegni rispondendo a comandi impartiti dalla sua stessa voce, e richiamabili attraverso le donazioni – e me lo immagino registrare queste parole d’ordine col tono sommesso del ladro che si sta trascinando verso la gogna, ma con la speranza che il bottino arrivi sano e salvo a casa.
«Accendi bolle» farà dunque partire le bollicine di sapone. «Accendi pioggia», e cadrà un rivolo d’acqua dal tubo sopra il cuscino. «Accendi tuono»: suoni di temporali e luci al neon si attiveranno e spegneranno in modo del tutto verosimile. C’è anche «Accendi tutto»: l’apocalisse, l’arma da fine-del-mondo – ma costerà un po’ di più.

Ancora oggi puoi trovare Gennaro che, in diretta, allestisce le sue stesse torture, orienta ventilatori e speaker, e risponde alle domande di chi gli fa da spalla e gli chiede a che serva quella stampante laggiù. «A cosa serve…?! Secondo te?! La devo mettere sul letto…!» Risultato, notti insonni a ogni maratona. Sequenze di neve e bolle che gli accarezzano la faccia, rumori a decibel altissimi, piccoli rubinetti che gli pisciano in fronte.
Ogni volta che Gennaro saluta la chat e se ne va a dormire che ancora è in live, le donazioni diventano zanzare, crepacuori, un buon motivo per farlo sbroccare, e qualche altra decina di euro che finisce dritta nelle sue tasche. Istintivo, umanissimo, ma sempre all’interno di una storia già scritta, una sceneggiatura che prevede che a un certo punto arrivi quella reazione esagerata che tutti si aspettano.
In una delle sue clip più note si sveglia di soprassalto, col cervello sventrato dai rumori, e impreca contro chi gli ha donato l’audio a volume altissimo di un’irruzione dell’fbi tratta da qualche film. In un’altra, tra le più celebri nel suo genere, lo si vede rispondere nel dormiveglia all’ennesimo utente che si è comprato il rumore di qualcuno che bussa alla porta, che si è “comprato” il diritto di godere della sua reazione inconsulta, iraconda, potenzialmente virale. «Chi è… Chi è? Si può sapere chi è?? Mannagg’a mort… Chi è??»

Da Vincenzo Marino, “Sei vecchio”, 152 pagine, 15 euro.

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