Telefono senza filiGiovanni Maria Flick difende Nordio sulle intercettazioni

«L’assoluta indispensabilità mal si concilia con le frequenti richieste di proroga» che fanno sorgere il sospetto della «pesca a strascico: prima o poi qualcosa entra nella rete, magari del tutto diversa da quella ipotizzata», dice l’ex ministro di Prodi. Che si chiede se il mondo dell’informazione sia preoccupato «non per la minore libertà, ma per il menù meno ghiotto servito dai giornali»

(La Presse)

Il testo della riforma della giustizia, approvato dal consiglio dei ministri la scorsa settimana, dovrebbe approdare domani alla Camera. Ma nel vivo della discussione si entrerà la prossima settimana. E l’iter della riforma si preannuncia complicato con una parte dell’opposizione che promette battaglia e un’altra pronta a dialogare con il governo. I distinguo si sono visti in particolare tra i sindaci del Pd. Mentre Matteo Renzi e Carlo Calenda hanno fatto sapere che voteranno a favore della riforma.

Su uno dei punti più discussi della riforma Nordio, cioè le intercettazioni, interviene sulla Stampa l’ex ministro della Giustizia del governo Prodi ed ex presidente della Corte Costituzionale Giovanni Maria Flick, che dichiara di essere d’accordo con quanto proposto dal governo Meloni.

«Che il problema intercettazioni esista ne sono convinto da almeno 25 anni (e anche dopo la riforma Orlando, prima rinviata; poi, ancor prima di entrare in vigore, modificata dal governo Conte con l’estensione ai delitti contro la pubblica amministrazione)», scrive Flick. «Da ministro della Giustizia proposi una riforma che naufragò in Parlamento e che in parte somigliava proprio a quella del mio successore Orlando. Grazie a questa siamo finalmente arrivati alla selezione delle intercettazioni rilevanti, da parte del Pm, e all’istituzione di un archivio riservato posto sotto la sua sorveglianza e responsabilità».

Il tema intercettazioni ha due aspetti critici, secondo Flick. «Uno riguarda le condizioni per poterle effettuare (regole processuali, metodi di indagine del Pm, autorizzazione del Gip e presupposti per la loro proroga che, almeno fino alla riforma Cartabia, rappresentano la regola); l’altro i tempi e i modi per la loro divulgazione, ovvero per vietarla nelle parti non rilevanti per il processo (e questo, oltre alle regole e alla professionalità dei magistrati e, talvolta, degli avvocati, riguarda il diritto di cronaca e il lavoro dei giornalisti)».

Fin da allora, Flick ricorda anche «la volontà di limitare il ricorso alle intercettazioni ai soli casi di assoluta indispensabilità, quando sia impossibile proseguire con altri mezzi un’indagine già in corso. In altre parole: prima deve esistere una notizia di reato, con una fattispecie ben delineata e gravi indizi, anche contro ignoti. Non è stato così in passato e mi auguro che oggi lo sia. Ma sarebbe interessante verificare, su un campione di procedimenti penali pervenuti a sentenza, quali fossero i reati ipotizzati nella richiesta del Pm al Gip, quali quelli contestati (dallo stesso Pm) al momento di esercitare l’azione penale, e quali quelli effettivamente riconosciuti o negati in sentenza. Certamente l’assoluta indispensabilità mal si concilia con le frequenti richieste di proroga. Se alcune settimane di captazione e di ascolto non sono sufficienti a dare riscontro all’ipotesi di accusa, il sospetto è che si stia procedendo con la cosiddetta ‘pesca a strascico’: prima o poi qualcosa entra nella rete, magari del tutto diversa da quella ipotizzata».

Dunque la posizione di Flick è la seguente: «Sono convinto che le intercettazioni siano indispensabili, ma sono preoccupato per il loro abuso (sia nelle intercettazioni, sia nella pubblicazione)».

Certo, dice Flick, «comprendo le ragioni che rendono l’argomento incandescente». In primis, «sono in gioco interessi primari dell’ordinamento: la libertà personale, la riservatezza, la sicurezza, il diritto di informazione e di cronaca. Decidere quale debba prevalere sull’altro non è facile. Un’indicazione, però, proviene dalla Costituzione: quando si comprimono – per legge e con provvedimento dell’autorità giudiziaria – i diritti e le libertà fondamentali, si devono rispettare i criteri di proporzionalità e adeguatezza. E su questo dobbiamo porci delle domande, i magistrati per primi».

Poi, prosegue, «non sempre è questione di norme, ma di comportamenti. La legge già prevede il requisito della ‘assoluta indispensabilità’ delle intercettazioni: la regola è che non si possano utilizzare in altri procedimenti (salvo casi particolari) o per aprirne di nuovi o per la ricerca indiscriminata di elementi di prova (pesca a strascico). Nella prassi, a volte, tali limiti vengono forzati o elusi, anche al nobile fine di soddisfare esigenze di sicurezza collettiva. Ma lo strumento penale serve per punire fatti criminali avvenuti e di cui si abbia notizia, non per reprimere (o risolvere) fenomeni sociali».

Infine, «l’evoluzione tecnologica ha coinvolto tutti i mezzi di ricerca della prova, dalle analisi del Dna, alle qualità delle riprese video, alla geolocalizzazione, agli strumenti di forensic. Per le comunicazioni e le conversazioni private, alle intercettazioni telefoniche o ambientali tradizionali si è aggiunto il captatore informatico (trojan). Uno strumento molto invasivo la cui utilizzazione incontrollata si pone in contrasto con l’articolo 15 della Costituzione».

Il giro di vite proposto consiste nel «rimettere al giudice la valutazione sulla rilevanza processuale delle singole intercettazioni già selezionate dal pubblico ministero. Sul piano processuale, dell’efficacia degli strumenti d’indagine e dell’accertamento dei reati, della tutela dei mezzi di prova e dell’indipendenza della magistratura inquirente e giudicante, non mi sembra una deriva, anche in relazione al bilanciamento dei valori costituzionali. Resta da chiedersi se la diffusa contrarietà del mondo dell’informazione sia il legittimo campanello d’allarme per il timore di un attacco all’autonomia della giurisdizione e alla libertà di stampa, di un rafforzamento della criminalità e di impunità per la casta (timori che, almeno in questo caso, reputo infondati) o se l’informazione sia solo (pur legittimamente) preoccupata per sé: non per la minore libertà, ma per il menù meno ghiotto servito dai giornali», si chiede Flick.

L’attività giudiziaria – ricorda l’ex ministro della Giustizia – «fornisce materiali appetibili per il mondo dell’informazione, con finalità che trascendono questo stesso mondo: agevolano il controllo sociale e sui pubblici poteri da parte dei giornalisti, compito primario dell’informazione in un paese libero; permettono di conoscere e approfondire le attività e i comportamenti della criminalità organizzata, rilevante per la sicurezza pubblica e la tenuta delle istituzioni democratiche; soddisfano curiosità e prurigini umanamente comprensibili, ma che dovrebbero essere sottoposte a un vaglio critico e a un rigoroso filtro deontologico, personale ed eventualmente degli organi della professione. In tempi di magra, la fonte giudiziaria è per il giornalismo d’inchiesta, e per i rischi anche economici di chi lo pratica, un palco in prima fila a teatro o allo stadio: un minimo di cautela, molta narrazione, nessun rischio. In questo giornalismo c’era poca inchiesta. Forse si dovrà fare più fatica».