Soddisfazione, denaro, capitale umano Dolce come il luogo dove passiamo il nostro tempo

Il lavoro in pasticceria è indubbiamente faticoso, richiede sacrificio e dedizione. Organizzazione, tempo, dialogo, sostenibilità: sono tutti temi rilevanti e dai quali non si può prescindere. Ma servono anche l’appagamento, l’equilibrio economico e il capitale umano gli elementi che fanno la differenza

@Gaia Menchicchi

Ma è davvero dolce il luogo dove passiamo il nostro tempo lavorativo, che peraltro rappresenta la fetta maggiore delle nostre giornate?
Non potevamo che rompere così il ghiaccio al tavolo 7 intorno al quale una dozzina di giovani pasticceri si sono radunati per riflettere con la moderatrice Stefania Radman sul benessere psico-fisico che gravita intorno al luogo di lavoro. E allora partiamo dalla ricetta per provare a scovare i metodi segreti, questa volta non per realizzare il miglior panettone o babà, bensì per sopravvivere alla quotidianità in un settore noto per l’importante impegno richiesto. Ad esempio meglio il rigore o la manica larga? Meglio procedure ferree o libertà di espressione?

Secondo Stefano Trovisi, pastry chef del Grand Hotel Gallia, la chiave sta più nell’identificazione del proprio equilibrio che porti alla delega evitando un regime eccessivo che potrebbe rivelarsi addirittura controproducente. E così Carola Carboni del ristorante Ratanà arriva a definire facilmente la propria brigata una vera e propria famiglia con la quale saper quindi individuare momenti diversi che spazino dalla serietà richiesta durante il servizio, a quelli invece essenziali di decompressione e svago. Concorda Pasquale Tozzi del Grand Hotel Fasano, che aggiunge l’importanza della comunicazione personalizzata trasformandosi spesso in una sorta di psicologo pur di contribuire al raggiungimento della maggior serenità possibile nel team. Storce invece un po’ il naso Giovanni Giberti, uno dei tre soci fondatori di Pavé, che sfida i colleghi con una domanda provocatoria: ma la brigata dev’essere davvero una famiglia? Si tratta pur sempre di lavoro, dove piuttosto un buon capo si contraddistingue per l’abilità nel fidelizzare il proprio personale attraverso condizioni lavorative sostenibili alla stregua di altri settori, garantendo per esempio due giorni di riposo, piuttosto che momenti di formazione, visite a produttori o team building.

Già, perché il Covid ha dato l’occasione a molti di guardarsi intorno e scoprire quanto spesso l’erba del vicino fosse più verde. Questo momento di reset imposto non sembra però aver costituito per forza un danno per i giovani pasticceri che animano uno dei diciannove tavoli dell’hackathon under40 organizzato dal Festival di Gastronomika. Stefano Guzzetti, papà delle gelaterie Ciacco, racconta di come abbia colto questo periodo per dedicarsi ad alcuni sfizi, quali i lievitati, che i ritmi quotidiani fino ad allora non gli avevano consentito di approfondire. Lo stesso vale per Giberti, il quale ha lavorato su una maggiore organizzazione della propria squadra che ormai conta cinquanta unità. O per Trovisi che, rimettendo in discussione storiche ricette, ha deciso di optare per l’esternalizzazione di alcune produzioni ottimizzando la produttività interna. Ma se Guzzetti e Margherita Poli, sous-chef perugina, guardano con ottimismo alla “pulizia naturale” imposta dalla pandemia tra i giovani interessati per lo più alla difesa delle rispettive priorità, Vincenzo Donnarumma, ultimo rappresentante di una lunga generazione di pasticceri in Campania, solleva la problematica della formazione, e in generale dei percorsi che oggi sovente portano le nuove generazioni ad avvicinarsi al mondo del dolce.
Accademie blasonate e programmi televisivi dalla ricca audience hanno infatti contribuito a dipingere un’immagine falsata del pasticcere, tanto che tutti i colleghi presenti concordano sul fatto che in molti toccano rapidamente i loro luoghi per allontanarsene prontamente intimoriti dal lavoro massacrante. Numeri alla mano, Giberti sdrammatizza sui centocinquanta contratti stipulati a fronte dei cinquanta dipendenti in organico a cui si contrappone la scelta estrema di Alain Locatelli, omino del burro nelle colazioni milanesi, che ha preferito rimanere solo tra banco e laboratorio pur di non vedersi soggiogato da tali dinamiche tossiche per la propria creatività.

@Gaia Menchicchi

Ma a meno di seguire la linea della solitudine, non sempre attuabile, dove andare a caccia delle giuste teste? Per Tozzi e Poli la risposta è chiara: largo a chi dimostra con umiltà voglia e bisogno di lavorare senza pretese particolari. Mattia Premoli, razionale ingegnere informatico ora a capo della pasticceria di famiglia “La Primula” di Treviglio, interviene per far presente che nel difficile contesto generale la situazione peggiore è quella della sala che, concorda Donnarumma, viene spesso considerata come un lavoro meno blasonato, pur costituendo la voce quotidiana dei prodotti e dell’azienda, aggiunge Guzzetti. E così Giberti ci racconta come da Pavé oggi il metodo per fidelizzare i pochi su cui per di più si investono spesso risorse e tempo prezioso per la formazione, non possa che essere quello di prevenire la fuga promuovendo il confronto costante e costruttivo. Certo, una strategia non sempre evidente in ambienti famigliari come quello di Donnarumma, ma a cui Pontremoli ha saputo ovviare inserendo procedure convalidate da tutti che permettono di ridurre non solo i conflitti personali, ma anche gli errori di produzione.

Emerge quindi chiaramente un quadro complesso e condiviso del luogo di lavoro, che assorbe sovente fin troppo, evidenziando come trasversale l’errore che più si rimproverano i nostri giovani imprenditori e cioè di non essersi potuti dedicare a sé stessi e ai propri cari come avrebbero desiderato.
Ma se i figli ormai sono grandi, gli ingredienti del benessere sembrano oggi essere lo sport, il mare e addirittura le faccende domestiche. O, perché no, i nuovi progetti e le nuove sfide.
Non serve per forza staccare la spina, sostiene infatti Pontremoli, se riusciamo ad arricchire il nostro quotidiano di progetti che ci mettano costantemente in discussione. È d’accordo Donnarumma, che ultimamente ha individuato proprio nei concorsi professionali la propria valvola di sfogo, promuovendo un confronto costruttivo tra colleghi. Operazione non sempre semplice in un settore spesso caratterizzato da molteplici gelosie su cui tutti si trovano d’accordo.
La mattinata volge al termine con la domanda di Giovanni Moschetto, rappresentante al tavolo dello sponsor Petra, il quale chiede alle giovani leve se quindi l’hackathon proposto aiuti a incrementare il benessere e raccoglie un diffuso consenso.

Dammi tre parole…
Le consegne per tirare le somme del confronto mattutino erano di identificare tre concetti chiave da approfondire nel pomeriggio. E se la canzone ci suggerirebbe “sole, cuore e amore”, al Franco Parenti i giovani pasticceri giocano duro e l’indecisione è grande tra organizzazione, tempo, dialogo, soddisfazione, forza lavoro, denaro e forse sostenibilità.

C’è soddisfazione generale direi, vuoi per aver trovato un equilibrio efficace in sé stesso e nell’azienda, come nel caso di Giberti, vuoi per l’umiltà di riconoscere una progressione a tappe guardando all’oggi come ci suggerisce Carboni, o più concretamente per i trofei conquistati ai concorsi vinti da Donnarumma.
Certo non bisogna mai accontentarsi. A partire da Pontremoli, il quale cerca un maggior brio che arricchisca l’ordinario di straordinario, o più banalmente un laboratorio più grande dove potersi esprimere, scherza Locatelli. Ma è il denaro a muovere ogni cosa, anche se non è elegante dirlo (e scriverlo). Gli affitti milanesi costringono a sapersi esprimere in quattordici metri quadri, ma allo stesso modo i soldi consentono la crescita aziendale attraverso innovazione e comunicazione, e permettono ancora i giusti investimenti sul personale che risulta chiaro essere lo snodo principale del sistema.
Un capitale umano in continuo fermento, oggi più che mai, con il quale imparare, per forza, a dialogare identificando compromessi volti a fidelizzare internamente le teste (e mani) utili al benessere quotidiano. Senza tralasciare il capitale umano rappresentato dal pubblico a cui ci si rivolge e che va quotidianamente ascoltato, accompagnato ed educato.

Abbiamo quindi trovato le tre parole “magiche” le quali si possono a loro volta riassumere nel termine sostenibilità, conclude la Radman.
Che sia questo l’ingrediente segreto?

@Gaia Menchicchi