Un progetto etico e di valore a Cuba, l’attenzione massima alla sostenibilità autentica e il focus sull’espansione diretta in Cina: sono questi gli asset sui quali la famiglia Lavazza sta puntando per rafforzare la sua identità e per costruire un futuro in cui la cifra d’affari raddoppi in pochi anni, senza pesare sull’ambiente, e restituendo valore ai dipendenti, ai consumatori e ai produttori.
La strada è costellata di caffè in grani, di specialty monorigine, ma anche di pensieri strategici che portino il consumatore verso un prodotto sempre più essenziale, e sempre più legato alla sua essenza.
Nonostante il periodo complesso, costellato di problemi geopolitici, con una forte inflazione e il rischio di recessione alle porte, l’azienda torinese sta cercando di resistere e anzi implementare il suo fatturato con investimenti che le permettano di difendere la sua posizione competitiva. E grazie a una gestione prudente dei costi e a un aumento dei volumi dovuta a una partnership cinese importante, che parte da 200 negozi entro l’anno per arrivare a 1000 entro il 2026, l’azienda sarà in grado di arrivare quasi al raddoppio del suo giro d’affari nei prossimi anni, anche con una gestione attenta dei margini come ammortizzatori, e aumenti di prezzo calmierati, per garantire competitività. E senza mai dimenticare la sua vocazione di attenzione al sociale e ai produttori, vera anima del caffè.
Partendo per esempio dalla valorizzazione del caffè di Cuba: «Nato come un piccolo progetto, adesso è un’associazione economica tra la fondazione Lavazza e il Ministero dell’Agricoltura locale» racconta a Gastronomika Giuseppe Lavazza, primo promotore in azienda di questa partnership e fiero dell’accordo e dei suoi obiettivi. «Questo partner istituzionale ci aiuta a dare un grande valore aggiunto ai produttori, che riusciamo a remunerare coerentemente con l’impegno, abbreviando il percorso e accorciando la filiera. Lavoriamo sulla parte agronomica, sullo sviluppo delle piantagioni e sulla certificazione bio, per proteggere le risorse naturali, ma prestiamo attenzione anche alla valorizzazione del ruolo femminile. E alle nuove possibilità digitali: con la blockchain abbiamo una tracciabilità perfetta, che mette in trasparenza tutta la catena, fino al prodotto finito. Ma stiamo lavorando anche sulla distribuzione diretta, con il recupero di un edificio in Avenida Italia, fatto in collaborazione con il Ministero degli esteri, dove abbiamo creato un training center con caffetteria: un modo per costruire nuovi consumatori consapevoli e informati. La Fondazione fa da coordinatore di questo progetto no profit, mentre Lavazza diventa cliente del progetto, compra i prodotti a prezzi di mercato e lo rivende: ma i produttori non sono obbligati a vendere solo a noi, quella è una loro scelta».
E se sulla produzione i valori sono chiari e determinati verso la sostenibilità e l’attenzione primaria all’ambiente, sulla blockchain la sfida è di far funzionare l’immaginazione per capire e dare uno scopo a questa raccolta di dati fatta con monitoraggi attenti e pervasivi: «Questi dati non devono essere fini a se stessi, ma devono essere una palestra nella quale allenare la nostra immaginazione, per migliorare le cose attraverso l’analisi sempre più accurata», prosegue Lavazza.
E perché la scelta è caduta proprio su Cuba? È sempre il direttore a spiegarlo: «Cuba per noi è stata una scelta da appassionati di caffè: perché qui si produceva un ottimo caffè, un buonissimo prodotto, in modica quantità. Non è una zona di produzione tipica, ha un ecosistema molto particolare: non sono coltivazioni di altura, sono vicine al mare. Ha sempre avuto una tradizione in questo senso, e le tincas davano una poeticità che collegava il caffè a un’attività un po’ fuori dal tempo. Questa attività poi è stata abbandonata dopo gli sconvolgimenti politici, e negli ultimi il governo aveva intenzione di rilanciare la produzione per uno sviluppo economico. Nel 2018 siamo entrati in contatto con questa realtà e abbiamo iniziato a lavorare a un progetto piccolo, basato sulla fornitura di piccole piante di caffè, poi sono arrivate la creazione di vivai, poi per creare piccole piantagioni per produrre nuovamente il caffè. Poi siamo passati alla piantagione, poi alla produzione, poi alla lavorazione post produzione, con le fermentazioni fasi intermedie fino all’utilizzo del prodotto e ai suoi aspetti commerciali, fino ad arrivare ai produttori».
Un progetto che parla di attenzione ai produttori e di etica, e che va di pari passo con la sempre maggiore definizione del concetto allargato di sostenibiltà durabile. «Vogliamo eliminare tutto ciò che non è indispensabile, e garantire alle cose un corretto ciclo di vita: il nostro obiettivo è ridurre con intelligenza. Dobbiamo andare verso un’economia di sottrazione, che però non va imposta. La nostra idea è di alleggerire i prodotti, arrivando a prediligere quelli che consumano meno risorse già dalla produzione di impianti più organici. Si tolgono le cose superflue, le emissioni non indispensabili, anche nell’ottica di un risparmio economico aziendale. Andiamo verso un concetto di meno spreco di risorse: anche con una gamma non ridondante, concentrandoci su prodotti con un’identità definita, ben percepibile da parte di chi consuma e verso un approccio più educazionale, promuovendo prodotti con un profilo e un’identità giusti, che rendano i magazzini meno vasti e più efficienti».
Il tutto, senza dimenticare un importante progetto di espansione, che è una nuova potenziale risorsa per questa azienda dinamica e votata al futuro: «Ci siamo legati a un partner per la nostra espansione diretta in Cina, e là è importante l’offerta di caffetteria che deve però partire dalle caffetterie fisiche: i cinesi amano un prodotto elaborato, e di sicuro il caffè non è un consumo d’impulso come da noi, ma un bene aspirazionale: non a caso fanno tutti molte foto, e abbiamo attivato delle partnership non scontate, per esempio con società di gaming, per portare i consumatori locali nelle caffetterie, senza mai tradire il nostro essere italiani».