Se i 154 fari, i 712 tra fanali, boe e mede fermassero, anche solo per pochi istanti, il proprio fascio di luce nel punto esatto del cielo e del mare in cui ciascuno di essi incontra i due che gli sono dirimpettai a est e a ovest, si formerebbe un’indistinta figura luminosa che avrebbe la forma dell’Italia e delle sue isole senza bisogno di terraferma.
Il nostro paese, infatti, è unito anche dalle lanterne grazie all’intuizione, volontà e necessità manifestate dal re Vittorio Emanuele II che aveva contemporaneamente bisogno di controllare tutte le coste e garantire un servizio di segnalamento generale utile alle navi.
La storia dei fari nel mondo è ovviamente più antica dell’Unità d’Italia. Il primo di cui si abbia notizia è quello monumentale di Alessandria d’Egitto. A erigerlo o finanziarne l’opera – le fonti non sono univoche sul punto – fu Sostrato di Cnido: alto 130 metri, posto su una base di 30 metri per lato, mostrava un’imponenza davvero impressionante.
Fu eretto sull’isola di Pharos, una collocazione geografica che avrebbe finito poi per dare il nome a tutte le torri luminose che sarebbero seguite appunto alla madre di queste costruzioni, considerata una delle sette meraviglie del mondo classico. La sua luce era capace di irradiarsi sino a 40 chilometri di distanza grazie all’impiego di un sistema composto da specchi metallici posti di fronte a una fiamma alimentata con resine oleose continuamente rifornite da carri trainati da cavalli.
Rimase in funzione sino al 1302 quando crollò a causa di una tremenda scossa di terremoto. Anche un’altra meraviglia dell’antichità, il Colosso di Rodi, gigantesca statua in bronzo eretta in onore di Elio, dio del Sole, nel porto dell’omonima isola greca, fungeva da faro: aveva la forma di una figura umana a simboleggiare quella divina e solle- vava un braciere da cui si levava una fiamma perennemente accesa, essenziale per orientare i capitani delle navi.
Successivamente toccò ai romani, notoriamente abili nelle opere d’ingegneria civile, implementare la presenza di fari e migliorare progressiva- mente il loro meccanismo di azione. Ecco, dunque, comparire a Dover, per illuminare le prime bianche scogliere che sono il biglietto da visita del paesaggio britannico, nel 40 d.C., una prima torre, che sarebbe stata poi replicata in Galizia, probabilmente nel II secolo d.C., precisamente sull’attuale lungomare di La Coruña.
Chiamata la Torre d’Ercole, si trova ancora al proprio posto ed è considerata il più vecchio faro al mondo tuttora attivo. Dichiarato Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco, a pianta quadrata, dotato di finestre, è circondato dalle vestigia romane emerse in seguito alle numerose campagne di scavo compiute nei suoi dintorni.
L’autore della Torre d’Ercole galiziana, raggiungibile oggi attraverso una passerella panoramica illuminata nelle ore notturne da fasci laterali di luce, secondo un’iscrizione latina che si trova alla sua base, fu Gaio Sevio Lupo, architetto originario di Aeminium, l’attuale città di Coimbra in Portogallo, che ricevette l’incarico quando regnava l’imperatore Traiano: sembra che sul muro perimetrale esterno esistesse una rampa o una scala di pietra che permetteva di salire in cima e che ci fosse una cupola dalla quale uscivano la luce e il fumo di segnalazione.
Da “Andare per fari” di Luca Bergamin, il Mulino, 176 pagine, 13 euro.