«Ne va dell’umanità!»Salvare il pianeta va bene, ma la cura green non può essere una scusa per torchiare gli individui

In un mondo già complesso e ostile, i progetti di investimento per ridurre l’impatto ambientale delle nostre azioni non dovrebbero gravare sui singoli: la politica non può pensare cavare risorse dal lavoro e dalle proprietà dei cittadini

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La cura “green” che è necessario dedicare al piccolo e irripetibile mondo in cui viviamo, alla riforma delle nostre abitudini abitative e alimentari, alla riconversione e all’orientamento in senso compatibile della produzione industriale non ha niente a che fare con i protocolli di ecosostenibilità adoperati perlopiù per cavare ancora soldi dalle tasche dei contribuenti e per sopprimere ulteriori quote di libertà dei cittadini.

Enormi progetti di devoluzione “green”, che coinvolgono le grandissime angolature degli investimenti multinazionali e una parte molto significativa del sistema bancario, in una inevitabile collusione con le politiche degli ordinamenti nazionali, hanno finalità che c’entrano assai poco con esigenze di palingenesi ambientalista e molto più con l’intento di grassare dove ancora è possibile: le tasche dei cittadini, già esauste ma ancora capienti se si tratta di far credere che debbano impegnarsi a salvare il pianeta cambiando gli infissi vetusti e sostituendo l’autovettura con il pomolo del cambio in materiale inquinante.

In un sistema come il nostro, che tra una cosa e l’altra tassa il lavoro e i guadagni al cinquanta, al sessanta, al settanta per cento non si può richiedere un dieci per cento di grassazione supplementare così, a capocchia: e allora si chiede che quei soldi in più, anziché direttamente versati in tasse, siano spesi per rendersi adempienti al criterio green. Criterio che non fa lo scrutinio della rimessa coibentata con l’eternit, ma dei pali di misura incongrua a recinzione del pollaio: esattamente come ai tempi del Covid non importavano i focolai di infezione accuratamente coltivati tenendo la gente tombata in casa, ma gli sperduti runner inseguiti dalla polizia democratica tra i filari di pannocchie.

Non si tratta di contestare populisticamente l’“ideologia green”. Si tratta di contestare, o almeno riconoscere, l’evidentissima pratica programmatica che ormai da un paio di decenni investe sulla predazione dei risparmi e dei possedimenti residui che fanno da ultimo massetto sul fondo del barile. Una sterminata foresta di enti, organizzazioni, deleghe, ministeri è stata impiantata a livello planetario negli ultimi due decenni per giustificare e simultaneamente attuare questa vera e propria rapina delle ricchezze individuali (e “ricchezze” per modo di dire, ovviamente, nel senso che non è una ricchezza, per il pensionato, avere una saracinesca del box sgangherata: ma è una ricchezza, per il potere pubblico, poter imporgli di rifarla perché altrimenti la difettosità energetica del palazzo fa morire l’orso bianco).

Dice: sei complottista. Sì. Ma non nel senso che c’è la Spectre che vuole insinuare nella mente di ogni creatura sensibilità ecologiste: nel senso molto più piatto che si è trovato un modo, un enorme e indiscutibile modo per cavare risorse dal lavoro e dalla proprietà degli individui: perché «ne va dell’umanità intera!».

La tutela dell’ambiente, del pianeta, appunto dell’Umanità con la U maiuscola: altrettanti “valori” buoni a coartare la vita di chi, come può, cerca di vivere in quell’ambiente, di sopravvivere in quel pianeta già ora concretamente ostile e ha diritto di appartenere a un’umanità che non sacrifichi gli uomini in vista del paradiso verde.