Apocalittici e (dis)integratiLa sicumera del biblismo ecologista e la colpa da espiare in quanto esseri umani

Adattare le vacanze scolastiche al nuovo clima, pretendere la cura degli argini dei fiumi e impedire gli abusi edilizi sarebbero tre modi per iniziare a contrastare il cambiamento climatico. Ma c’è chi preferisce biasimare i singoli individui per tutti i mali del mondo

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L’isteria millenarista che chiama a giudizio l’umanità inquinatrice ripete con esattezza quella sprigionata dall’infezione da Covid, con la differenza che se si tratta di città sott’acqua o di campagne incendiate è un po’ più difficile arrangiare provvedimenti immediati a punizione dei singoli responsabili di “irresponsabilità”, tipo gli organizzatori di grigliate all’Idroscalo (erano più sicuri in casa, a coltivare il virus senza il disturbo dell’aria aperta) o i pensionati che attentavano alla salute pubblica comprando due litri di vino anziché uno (prova che non avevano ridotto all’indispensabile salutista la permanenza davanti agli scaffali del supermercato). 

Donde, i saggi e giustamente ferrei provvedimenti di perquisizione e sequestro e multe della polizia democratica: allocata al presidio contro la rete della spesa troppo gravida e alla repressione del barbecue negazionista, mica all’inutile controllo dei mezzi pubblici imbottiti di “sani” perché un’ora prima avevano rispettato il limite di duecento metri entro cui pisciare il cane o perché alle tre di notte avevano coscienziosamente indossato la mascherina per portare giù la monnezza.

Ma con gli alberi caduti, magari sulla vita di qualche innocente, che fai? Andare a sfruculiare sul fatto che cinque su dieci erano malati, e dunque da abbattere prima che cadessero, magari agevolati da un vento effettivamente forte, è proprio da impertinenti. E così i perduranti laghi nelle vie e nelle piazze, a giorni dal temporale e sotto un cielo ormai rasserenato: vai a dirgli che non è il cambio climatico, ma il tombino intasato. 

Più facile ricorrere alla maestosa incolpazione collettiva, magari col conforto di qualche sigillo presidenziale, e dire che non c’è santi: bisogna riconoscere che c’è il cambio del clima e guai a non riconoscerlo; bisogna dire che è colpa dell’Umanità con la u maiuscola e guai a negarlo, espediente per rompere i coglioni in qualche modo (ci si sta organizzando) all’uomo singolo che non si fa carico della colposa appartenenza al genere umano. E irresponsabilmente, appunto, non partecipa alla costruzione dell’Arca democratica fatta di voti per istituire un ministero apposito, con appositi diciotto viceministri e appositi trentadue sottosegretari, e naturalmente un congruo reddito da ingiustizia climatica e ancora naturalmente una buona fattispecie di delitto per mandare in galera chi non si prostra cinque volte al giorno in direzione del totem green

Come gli scimmioni di Kubrick davanti al monolite, solo che qui ha il profilo dell’ambientalista in debito di congiuntivo e l’imponenza morale della gioventù quarantaquattrenne che ferma il traffico fino al giusto, cioè fin quando mamma telefona che sono pronte le polpette al sugo.

E così va la nave dell’Italia retorica e inetta, l’Italia della che scientificamente non cura gli argini e i declivi e il sottobosco e scientificamente manda in vacanza cinquanta milioni di cittadini nel giro conchiuso di due settimane e scientificamente chiude le scuole dal tempo delle fragole a quello delle castagne e scientificamente coltiva e mantiene le fungaie dell’abuso edilizio salvo poi, scientificamente, affidarsi alla scienza del biblismo ecologista che illustra il carattere punitivo del calibro anomalo della grandine.

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