«Mi scuso per aver indossato abiti giapponesi per strada ignorando i sentimenti dell’opinione pubblica e ferendo i sentimenti della nostra nazione». È il 14 agosto 2022. Una donna scrive così sul suo account Weibo, social media cinese. Nei giorni precedenti è stata fermata da degli agenti di polizia mentre camminava per strada con un kimono giapponese. Secondo la sua testimonianza, è stata portata in caserma e trattenuta per qualche ora dopo un diverbio con gli agenti che l’avevano fermata per chiederle se fosse cinese. Il tutto in una strada costruita ad hoc per gli expat giapponesi negli anni Novanta, con tanto di ristoranti e negozi con insegne scritte in caratteri nipponici.
Ma ci sono tre problemi. Il primo: il 15 agosto è l’anniversario della resa dell’impero giapponese al termine della Seconda Guerra Mondiale, durante la quale hanno invaso la Cina e commesso atroci crimini di guerra. Il secondo: i rapporti con il Giappone sono a dir poco tesi. Il terzo: la Cina di Xi Jinping è molto più nazionalista di un tempo e l’orgoglio per la propria identità cinese talvolta tracima in ostilità verso gli elementi esterni. Soprattutto se c’è una ragione politica come nel caso del Giappone. Alla fine, comunque, la donna è stata rilasciata ma il kimono le è stato confiscato.
Partire da questo episodio di poco più di un anno fa aiuta a inserire in un contesto più ampio la notizia su un nuovo disegno di legge che prevede il divieto di abbigliamento «dannoso per lo spirito del popolo cinese». Se la legge entrerà in vigore, i colpevoli potrebbero essere multati o incarcerati. Nel dettaglio, chi indosserà abiti o simboli che «minano lo spirito o feriscono i sentimenti della nazione cinese» potrebbero essere detenute fino a quindici giorni e multate fino a cinquemila yuan (circa seicentoquaranta euro). La bozza propone anche di vietare di «insultare, calunniare o infrangere in altro modo i nomi degli eroi e dei martiri locali», nonché il vandalismo delle loro statue commemorative. La proposta fa parte di una serie di proposte di modifica alle leggi di pubblica sicurezza. Si tratta della prima importante revisione da quando la cornice legislativa è entrata in vigore nel 2006, definendo il quadro normativo legato ai reati minori. Una mossa necessaria per adattarla alla realtà sociale della Cina di oggi, sostengono governo e media statali.
Nel caso specifico, c’è ancora molta vaghezza su che cosa costituisca una violazione. Sui social c’è chi si chiede se indossare una cravatta possa anche diventare illegale. Cosa molto improbabile, in realtà, visto che è consuetudine indossarla anche negli appuntamenti politici per i funzionari e dirigenti del Partito comunista cinese. Più esposto il kimono giapponese o i richiami evidenti a forze esterne. A marzo, la polizia ha fermato una donna che indossava una replica di un’uniforme militare giapponese in un mercato notturno. Attenzione anche ai simboli non in linea con la società con caratteristiche cinesi. Secondo diversi media internazionali, di recente a persone che indossavano abiti con stampe arcobaleno è stato negato l’ingresso a un concerto della cantante taiwanese Chang Hui-mei a Pechino.
Non è scontato che alla fine la proposta di legge entri in vigore. Dalla sua presentazione, si è aperta una fase aperta ai riscontri pubblici (fino al 30 settembre) che potrebbe portare a modifiche anche importanti alla sua struttura iniziale. E la sensazione è che molti disapprovino la novità normativa. Molti studiosi di diritto e blogger hanno scritto editoriali e post sui social media chiedendo la rimozione di alcuni articoli della bozza. Gli studiosi e i commentatori hanno anche incoraggiato i cittadini a dare il loro feedback sulla bozza, attraverso il sito dell’Assemblea nazionale del Popolo.
Tra i commenti più in vista quello di Tong Zhiwei, costituzionalista dell’Università di Scienze Politiche e Giurisprudenza della Cina orientale. «Chi conferma lo “spirito della nazione cinese” e secondo quale procedura? Chi riconosce i sentimenti della nazione cinese e secondo quali procedure?», ha scritto su Weibo. Aggiungendo: «Se il Comitato permanente dell’Assemblea nazionale del Popolo adotterà questo articolo così come è stato redatto, l’applicazione della legge e il lavoro giudiziario porteranno inevitabilmente alle conseguenze pratiche di arrestare e condannare le persone secondo una volontà arbitraria, con danni infiniti».
Yang Jianshun, professore di diritto all’Università Renmin, ha dichiarato al media cinese Caixin che le modifiche proposte dimostrano che il governo spera che punendo i trasgressori possa scoraggiare comportamenti simili da altri cittadini. «La revisione mira a fornire una chiara base giuridica alle autorità per gestire alcuni casi in cui non sarebbe sufficiente imporre sanzioni penali», ha dichiarato invece Yu An della Tsinghua University. Il collega Lao Dongyan, docente di diritto alla stessa università, sostiene invece che la parte relativa alla lesione dello spirito della nazione o dei suoi sentimenti è «troppo vaga» e che, se gli emendamenti venissero approvati, «potrebbero causare problemi come l’abuso di potere da parte delle autorità, creare conflitti tra la polizia e la popolazione e portare nuovi rischi alla stabilità sociale».
L’abbigliamento è d’altronde uno degli elementi distintivi della questione identitaria. La Cina tiene molto alle sue tradizioni e alla paternità che ha sulle stesse. Lo dimostra lo scontro diplomatico dell’anno scorso che è nato da un dibattito sull’origine dell’hanfu, vestito tipo della dinastia Ming dell’impero cinese. Per i coreani il primogenito sarebbe però il loro hanbok. Durante la cerimonia di presentazione dei gruppi etnici minoritari all’interno della Cina ai Giochi Olimpici Invernali di Pechino 2022, è stata inquadrata tra la folla una giovane donna che indossava un hanbok. Molti coreani hanno espresso online la loro indignazione per quella che, secondo loro, era una manifestazione di appropriazione culturale.
Diverse star dell’industria dell’intrattenimento di Seoul hanno poi postato delle foto sui social nelle quali indossavano a loro volta un hanbok. Con tanto di polemiche sottostanti dei netizen cinesi. Nella campagna di rettificazione dell’industria dell’intrattenimento e del suo ecosistema digitale lanciata nel 2021, invece, si insisteva sull’aderenza ai valori patriottici. Agli uomini dello spettacolo è stato chiesto di tagliare i capelli e ai calciatori di evitare i tatuaggi.
Al di là del dibattito specifico e del suo destino finale, la nuova bozza di legge conferma ancora il tentativo del governo di definire nel modo più preciso possibile quelle “caratteristiche cinesi” di cui si esige il rispetto. Meglio adeguandosi alle loro prescrizioni e canoni, anche estetici.