Ho letto la notizia di quanto accaduto ad Anita Pallara, Presidente dell’Associazione Famiglie Sma, respinta da una gita in mare perché la barca è risultata inaccessibile alla sua carrozzina a motore, nonostante in sede di prenotazione le fosse stato assicurato che non c’erano problemi. L’ho letta e ho pensato: basta, davvero basta, non se ne può davvero più di questi trattamenti discriminatori.
Ieri è accaduto ad Anita. Qualche giorno fa è accaduto a Daniele Rinaldo, ingegnere affetto da Sla che, di rientro dalle vacanze, non ha potuto volare nella tratta Cagliari-Venezia perché Ryanair gli ha impedito di utilizzare il ventilatore polmonare in volo, presidio essenziale per lui. Nonostante si tratti di un ausilio che non presenta alcun pericolo per la sicurezza del volo, come sarebbe stato facilmente verificabile.
A luglio è accaduto a Silvia Stoyanova, cui è stato risposto che non potrà assistere al prossimo concerto di Tylor Swift a Milano perché i posti sulla pedana per persone con disabilità sono troppo pochi e non le sarà consentito nemmeno di accedere con il biglietto da trecento euro che ha acquistato per la zona parterre. L’elenco infinito potrebbe continuare.
Siamo nel 2023, mandiamo le sonde su Marte, progettiamo veicoli che circolano senza necessità di guidatori umani, abbiamo sistemi di intelligenza artificiale in grado di processare miliardi di dati in pochi secondi, progettiamo stampanti 3D per realizzare organi artificiali, ma – a quanto pare – non si riesce a far sì che una persona con disabilità possa fare una gita in barca, andare a un concerto, vivere una vacanza in santa pace, come tutti gli altri.
E questo non perché ciò sia oggettivamente infattibile. Semplicemente ce ne si preoccupa poco e ci si investe praticamente nulla, in quanto si ritiene inessenziale, secondario, sacrificabile. Quasi che per le persone con disabilità divertirsi, partecipare al piacere della musica, della cultura, del viaggio fosse un di più, qualcosa a cui poter rinunciare senza troppi problemi. Quasi che le persone con disabilità appartenessero a una dimensione umana diversa, abituata a vivere un’esistenza parallela in cui non importa perdersi le esperienze di gioia condivisa che contano per tutti. È esattamente il contrario.
La vita delle persone con disabilità è molto difficile, piena di dolori quotidiani inevitabili perché legati spesso a condizioni di salute complicate che richiedono di fare rinunce, sacrifici e fatiche, grandi, immense. È una vita che necessita di una capacità di resilienza gigantesca, di frequente, fin da bambini o adolescenti, ossia quando la pelle è più sottile e le spalle sono più fragili.
In quelle vite che combattono quotidianamente per resistere a frustrazioni, paure, angosce enormi, la fruizione dei live, dello sport, della musica, del teatro, della cultura, del divertimento non conta meno, ma molto di più, perché tali esperienze sono spesso ciò che aiuta a dire «ok, è tutto maledettamente difficile, però esistono cose talmente belle da vedere, ascoltare, vivere con gli altri, che ne vale sempre la pena».
Mi chiedo spesso se chi fa spallucce, risponde serenamente che «non si può fare», usa espressioni come «purtroppo non siamo attrezzati per quelli così» ci abbia mai pensato. Se realizzi il dolore che causa a una persona che ha già una vita molto difficile: la delusione, l’imbarazzo verso gli amici che vengono anch’essi esclusi perché hanno deciso di fare qualcosa con te, la paura che la prossima volta magari ci penseranno due volte a scegliere la tua compagnia, la solitudine che ne deriva.
Bach diceva che la musica aiuta a non sentire dentro il silenzio che c’è fuori. Io dico che la musica, il teatro, l’arte, gli eventi sportivi, i live aiutano anche a non sentire il silenzio che ciascuno di noi ha dentro di sé nei momenti più bui. Ce lo ha dimostrato il Covid, quando cantavamo dai balconi e cercavamo con ansia le dirette social dei nostri artisti preferiti.
Ebbene, quel silenzio per le persone con disabilità può essere nero, terribile, ininterrotto e per questo spezzarlo nelle loro vite è più essenziale che mai.
Per riuscirci occorre una rivoluzione copernicana nel nostro Paese che parta del riconoscimento che è un diritto fondamentale delle persone con disabilità l’accessibilità e la fruibilità in condizioni di piena parità con gli altri alle esperienze culturali e ludiche offerte nel nostro Paese. E che, in quanto tale, è dovere inderogabile di tutte le istituzioni e di tutti i soggetti coinvolti garantirlo.
Con la convinzione profonda che ogni scostamento da questo principio costituisce una discriminazione inammissibile e un atto inumano, possiamo collaborare tutti insieme per trovare le soluzioni pratiche necessarie per darli corpo. Le occasioni non mancheranno. Basta pensare alle Olimpiadi invernali del 2026.
Non si può più attendere, però. È ora il momento. Lo pensiamo in tanti e ci stiamo organizzando per lanciare un lavoro con proposte molto pragmatiche, ben consapevoli che non è facile e che si deve avere la capacità di approfondire tutti gli aspetti complessi legati alla sicurezza, alla vetustà delle nostre strutture e alla ristrettezza delle risorse.
Il primo passo, però, è dirci che questa è una priorità e che la nostra volontà collettiva è di realizzarla, appieno e nella prassi quotidiana perché, come disse Judith Heumann, «la disabilità diventa una tragedia solo quando la società fallisce nel darci quello che ci è vitale per andare avanti con le nostre vite». E questo è assolutamente vitale.
Partiamo da qui, con tutti coloro che ci stanno, mettendoci tutte le nostre energie e forza di convinzione per rompere davvero e per tutti il silenzio che sta dentro e fuori di noi.