La manovra tristeMeloni vorrebbe cavarsela con le misurette, ma al governo manca una linea politica

Già si inizia a parlare di fase due, che è il segnale per capire quando le cose non stanno andando bene. Alla premier manca una visione e cresce la percezione che i problemi siano di lunga durata

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«Nessuno può evitare di commettere errori. La cosa grande è imparare da essi». Se Giorgia Meloni meditasse su questa frase di Karl Popper forse metterebbe mano a una revisione anche profonda della sua iniziativa e della sua comunicazione così stentorea e assertiva. Ma non lo farà. Tirerà dritto, ma verso dove?

Tra velleità di “grande politica” e piccolo cabotaggio la premier opta per quest’ultimo, non disdegnando l’antica pratica del rinvio oppure ammantando le piccole misure con un’enfasi da Ventennio: ed ecco a voi per esempio il “carrello tricolore”, ovvero le misurette dei prezzi scontati nella grande distribuzione che verrà presentato domani dalla premier. Poca roba.

Sebbene ieri il Consiglio dei ministri abbia stanziato più di un miliardo per le bollette e bonus da ottanta euro una tantum come taglio al prezzo della benzina per le fasce più povere – che magari la macchina manco la usano più – il Paese non sta per niente meglio. Idee grosse, zero.

Eppure è chiaro che la premier è giunta a uno snodo delicato nel quale anche i suoi elettori che non la abbandonano si chiedono: embè? Perché è vero che i sondaggi dicono che Fratelli d’Italia non cala e nemmeno il gradimento di Giorgia ma è come se il Paese aspettasse da lei qualcosa, una cosa qualunque, che ancora non si è vista, e dunque il credito non è esaurito (e dopo solo undici mesi, per forza) ma si intuisce che non è infinito e che per ora ne fanno le spese un po’ la Lega e un po’ di più Forza Italia: ma è sempre il gioco dei vasi comunicanti in seno alla destra, «di là» non si passa, non si becca un voto, infatti i due blocchi sono sostanzialmente allo stesso punto di trecentosessantacinque giorni fa, quando si votò. Il che vuol dire che questa grande luna di miele con il governo, se c’è stata, è tramontata.

Siamo dunque allo stallo e non si intravede l’approdo. E infatti si parla di “fase due” che è un’espressione che quando comincia a circolare di solito significa che le cose non stanno andando bene – altrimenti perché non insistere sulla “fase uno” – e che si vagheggia un futuro migliore e più produttivo ma così, come un desiderio giovanile più che come un progetto adulto.

Dovrebbe cambiare molte cose, la premier. Il rimpasto può essere un’idea (lo caldeggia la Lega). Certo non bastano le retromarce, che pure sono lì a indicare un andamento incerto, dalla tassa sugli extraprofitti delle banche (dove ha vinto “Forza Mediaset”) ai condoni ridimensionati fino alla penosa vicenda dei cinquemila euro per i migranti che vengono dai Paesi «sicuri», una norma che non si sa se più cervellotica o ridicola che chissà se verrà mai applicata.

Ora che si entra nel vivo di una triste manovra economica, il governo raschia il fondo del barile con piccoli condoni, «ravvedimenti operosi» e la tajanea «rigenerazione urbana», misure per fare cassa, e naturalmente i suoi cantori se la prendono con la Germania – a cui peraltro stiamo dichiarando guerra –, il conflitto ucraino che non finisce, la nuova ondata migratoria, la politica della Bce e quant’altro: ma voi che avete fatto? Ecco, il problema è l’assenza di una visione, almeno di una semplice linea politica, mentre di contro cresce la percezione che i problemi sono di lunga durata, dall’economia all’immigrazione nessuno può sperare che passi ’a nuttata: quella non passa. Ma se le premesse sono queste, che diavolo sarà la “fase due”? È un po’ come il “piano Mattei”, che nessuno ha capito cos’è. Come le misurette contro il carovita: non se ne accorgerà nessuno. Altro che carrello tricolore, se continua così tra un po’ chiederanno l’oro alla Patria.

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