Com’è profondo il mareSulle rotte difficili del Mediterraneo viaggiano uomini ed epidemie

Per navigare i marinai si affidavano ai peripli, raccolte scritte di indicazioni tramandate. A spostarsi, però, non erano solo le navi e le persone, ma anche i patogeni. Nel libro “Rotte del mare” (Quinto Quarto), Pino Pace e Allegra Agliardi raccontano alcune delle cose che molti non sanno sul Mare Nostrum

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Il Mediterraneo oggi è un mare modesto: servono pochi minuti per attraversarlo in aereo. Nell’antichità ci volevano giorni e settimane, in balia dei venti e delle tempeste. Le rotte non erano quasi mai dritte: i marinai dovevano imparare a seguire le coste e le stagioni, obbedire ai venti e alle correnti, fidarsi dei sentito dire e affidarsi a un sesto senso simile alla bussola biologica degli animali migratori. Molti si perdevano, ma erano di più quelli che tornavano a raccontare, per poi partire di nuovo.

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Illustrazione di Allegra Agliardi

Non esistevano mappe affidabili, quelle esistenti raffigurano l’ecumene, il mondo conosciuto, quello dove vale la pena vivere. Per navigare i marinai si affidavano ai peripli, raccolte scritte di indicazioni tramandate e, quando possibile, aggiornate. Nei peripli c’erano le rotte, i porti, le fonti d’acqua dolce, notizie sui popoli incontrati. Le navi hanno bisogno di porti in cui attraccare, ed era intorno ai porti che nascevano le città, dove vendere e comprare, svagarsi, spendere i denari guadagnati. (…) A viaggiare non erano solo le navi, ma anche le tecnologie e i modi di fare: la scrittura, la cartografia, le arti, gli espedienti per conservare gli alimenti o impermeabilizzare gli scafi o coltivare la vite e l’olivo. 

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Illustrazione di Allegra Agliardi

Sulle rotte di mare – usando pulci, roditori e uomini come vettori – viaggiavano anche le epidemie. Le cronache riportano notizia dell’epidemia di febbre tifoide che dal Peloponneso in guerra si diffuse in tutta la parte orientale del mediterraneo nel V secolo a.C.

Altra epidemia disastrosa fu la cosiddetta “peste di Giustiniano” che colpì Bisanzio nel 541 d.C., si diffuse in tutto il Mediterraneo, spopolò intere aree geografiche e continuò a imperversare per secoli, a ondate. Con il progresso delle tecniche di navigazione, le epidemie correvano più veloci e si diffondevano su territori sempre più vasti, con agenti patogeni diversi come vaiolo e colera. 

La peste nera degli anni ’30 del XIV secolo durò otto anni e uccise quasi un terzo della popolazione europea. Nel 1720 una nave che arrivava dal Medio Oriente portò la peste a Marsiglia. All’epoca esistevano già protocolli che prevedevano la quarantena per i natanti che arrivavano da zone considerate rischiose dal punto di vista sanitario. Erano regole che però costavano tempo e denaro, per questo si tendeva ad aggirarle. 

Da “Rotte del mare. Storie di acqua e terraferma” di Pino Pace, illustrazioni di Allegra Agliardi, Quinto Quarto, 192 pagine, 20 euro.

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