Le Nazioni Unite accusano i russi di aver torturato ucraini fino a farli morire; la Russia risponde emanando ordini di arresto per i giudici della Corte penale internazionale, ma senza spiegare cosa avrebbero fatto. Il presidente della Cpi Piotr Hofmański, la primo vicepresidente Luz del Carmen Ibáñez Carranza e il giudice Bertram Schmitt sono stati tutti inseriti dal ministero dell’Interno di Mosca nella lista dei ricercati federali «ai sensi di un articolo del codice penale»: senza spiegare quale.
Il 17 marzo la Cpi, di cui Mosca non riconosce la giurisdizione, aveva emesso mandati di arresto contro il presidente russo Vladimir Putin e la commissaria russa per i diritti dei bambini Maria Lvova-Belova, accusandoli del «crimine di guerra di deportazione illegale di popolazione (bambini) e di trasferimento illegale di popolazione (bambini) dalle zone occupate dell’Ucraina alla Russia». In risposta a questa decisione tre giudici della Cpi e il procuratore Karim Khan erano stati incriminati da Mosca con varie accuse, tra le quali «attacco a un rappresentante di uno Stato estero sotto protezione internazionale con lo scopo di complicare le relazioni internazionali» e l’incriminazione di «una persona che si sa innocente». Adesso, non si sente neanche più il bisogno di fornire una motivazione.
Anche Jasminka Dzumhur, Erik Møse e Pablo de Greiff saranno ora messi nella lista dei ricercati federali russi senza spiegare perché? Sono i membri della Commissione internazionale indipendente d’inchiesta sull’Ucraina che ieri hanno detto di aver «raccolto ulteriori prove che indicano che l’uso della tortura da parte delle forze armate russe nelle aree sotto il loro controllo è stato diffuso e sistematico», come ha spiegato il presidente della Commissione Møse al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite a Ginevra. «In alcuni casi, la tortura è stata inflitta con tale brutalità da causare la morte della vittima». «I soldati russi hanno violentato e commesso violenza sessuale contro donne di età compresa tra diciannove e ottantaré anni, e hanno costretto le famiglie ad ascoltare mentre violentavano le donne della porta accanto» nelle zone occupate della provincia di Kherson.
La Russia nega di aver commesso atrocità o di aver preso di mira i civili in Ucraina. Møse ha affermato che i tentativi della Commissione di comunicare con la Russia sono rimasti senza risposta. A Mosca è stata data l’opportunità di rispondere alle accuse durante l’udienza del Consiglio, ma nessun rappresentante russo ha partecipato. Il ministero della Difesa russo non ha risposto immediatamente a una richiesta di commento.
Interrogato in una successiva conferenza stampa sul numero di casi di tortura che hanno portato alla morte, il membro della Commissione Pablo de Greiff ha detto che era impossibile saperlo a causa dell’accesso limitato, ma che si trattava di un «numero piuttosto elevato e proviene da persone regioni del Paese molto diverse, vicine e lontane dalle linee di battaglia».
In agosto e settembre, la Commissione di Møse ha visitato parti dell’Ucraina precedentemente controllate dalle forze russe, come nelle regioni di Kherson e Zaporizhzhia. È emerso che la tortura è stata commessa soprattutto nei centri di detenzione gestiti dalle autorità russe e soprattutto contro persone accusate di essere informatori ucraini. La Commissione ha precedentemente affermato che le violazioni commesse dalle forze russe in Ucraina, compreso l’uso della tortura, possono costituire crimini contro l’umanità.
L’organismo delle Nazioni Unite ha anche riscontrato «alcuni casi» di violazioni commesse dalle forze ucraine, ha detto Møse, affermando che si riferivano a casi di attacchi indiscriminati e maltrattamenti nei confronti di detenuti russi. Kiev ha precedentemente affermato che controllerà tutte le informazioni relative al trattamento dei prigionieri di guerra e indagherà su eventuali violazioni e intraprenderà le azioni legali appropriate.
La Commissione era stata incaricata dal Consiglio nel marzo 2022 di indagare sugli abusi in Ucraina dall’inizio della guerra. Vi si è recata più volte e ha condotto centinaia di interviste. A volte le prove raccolte dalle indagini su mandato delle Nazioni Unite vengono utilizzate per processi nazionali e internazionali, compresi casi di crimini di guerra. Møse ha anche espresso preoccupazione «per le accuse di genocidio in Ucraina». «Parte della retorica trasmessa nello Stato russo e in altri media potrebbe costituire un incitamento al genocidio», ha detto, aggiungendo che la squadra «sta continuando le sue indagini su tali questioni».
Nel suo primo rapporto completo pubblicato a marzo, il team ha stabilito che le autorità russe avevano commesso «una vasta gamma di crimini di guerra», aggiungendo che che la commissione era a conoscenza delle accuse di genocidio, compreso il trasferimento forzato di bambini ucraini in aree sotto il controllo russo, e promise di indagare. Ieri nel suo aggiornamento al Consiglio Mose ha lamentato una «mancanza di chiarezza e trasparenza sulla portata, le circostanze e le categorie di bambini trasferiti» e ha affermato che la squadra sta continuando a indagare. «Se ciò solleverà anche problemi di genocidio sarà poi chiarito nel corso delle nostre indagini», ha detto ai giornalisti. Il rapporto di marzo aveva inoltre stabilito che Mosca era responsabile di una vasta gamma di altri crimini di guerra, tra cui attacchi diffusi contro civili e infrastrutture, omicidi, torture, stupri e altre violenze sessuali.
Mose ha ricordato che la Commissione dopo essersi recata più di dieci volte in Ucraina, sta ora «intraprendendo un’indagine più approfondita» che «potrebbe anche chiarire se la tortura e gli attacchi alle infrastrutture energetiche costituiscono crimini contro l’umanità». Møse tra le altre cose, ha detto che la squadra stava indagando sulle cause della disastrosa distruzione della diga Nova Kakhovka nell’Ucraina occupata dai russi il 6 giugno.