Sul cuore del mondoIl fascino del cowboy texano è dato dal suo cavallo (o cavalla)

Bubba è un personaggio solitario e affascinante del nuovo romanzo di McMusa edito da Rizzoli. Un cavaliere galante in una terra dura e chiusa. La sua parte, autentica e artificiosa allo stesso tempo, l’ha imparata da Gus, uno dei protagonisti di Lonesome Dove, romanzo del 1985 scritto da Larry McMurtry e vincitore del premio Pulitzer

Unsplash

Il Texas è un posto che alimenta tantissime storie e che si nutre di un’orgogliosa tradizione: unico Stato americano indipendente dall’Unione e dal Messico per ben dieci anni (dal 1838 al 1848), manifesta simboli e valori assolutamente riconoscibili. Tanto riconoscibili da farne un brand: l’esempio degli stivali, chiamati solo “texani”, calza a pennello.

Questa forza e questo orgoglio, uniti al potere economico del petrolio e alla muscolarità di un certo credo politico, negli ultimi decenni hanno narrato una storia che è uscita dai confini dello Stato e ha raggiunto prima i connazionali e poi tutto il mondo. Conseguenza: una persona arriva in Texas pensando di sapere perfettamente cos’è il Texas. Una terra dura e chiusa, che venera le armi e difende solo i propri interessi, costi quel che costi. Passa appena qualche ora e quella persona si trova costretta a integrare quella storia di partenza (che rimane vera, ma diventa altresì parziale) con personaggi, risvolti, spazi, scene completamente inaspettati. E una di queste la stavo vivendo in prima persona proprio in quella mattina di novembre.

Bubba, infatti, recitava una parte che gli veniva molto bene: il cowboy affascinante e galante, che corteggia le donne facendole sentire belle e desiderabili. Quando ci fece accomodare nella stalla, appoggiò rumorosamente i piedi, uno alla volta, su una cassa di legno e la schiena sullo schienale di una sedia cigolante, si accese una sigaretta con lo Zippo argentato e ci chiese sorridendo se fossimo stanche, perché essere così belle doveva essere un lavoro decisamente stancante. Oh, se lo era! pensai. La sua parte era diventata così palese e cinematografica da trasformare tutta l’esperienza in una sceneggiatura e quindi decisi che sì, essere belle ci aveva sfiancato davvero ed ero pronta a vivere quella storia come se fosse la favola che quel giorno triste meritavo. Gli risposi che era un duro lavoro ma che qualcuno doveva pur farlo e, quando lui in un istante sorrise perché ero stata al gioco – e non era scontato –, io anche sorrisi per la prima volta quel giorno perché c’era un cowboy davanti a me che mi diceva che ero bella. E, per quanto già scritto nell’aria del Texas e nelle pagine di tutti i romanzi che me l’avevano già fatta respirare, a me non risultava affatto scontato.

La sua autentica artificiosità mi elettrizzava, mi suggestionava. Anche se quel codice di comportamenti, mosse, parole e abbigliamento risultava senza dubbio cinematografico, per me e per lui era anche perfettamente reale. Era lì, lui era lì. Impossibile non crederci. Doveva averlo imparato da qualche romanzo, pensai, come si fa a corteggiare una donna, a guardarla senza invaderla, ad accarezzarla senza toccarla, a farla ridere rispettando la sua tristezza.

Certo che sì, realizzai qualche anno più tardi, quando ormai il numero di volte in cui eravamo stati a cavallo insieme aveva superato le dita una mano e il suo ranch era diventato la casa della mia anima lontana: l’aveva imparato da Gus, uno dei due celebri protagonisti di quel romanzo che da queste parti degli Stati Uniti è una vera e propria bibbia e dal 2017 lo è anche dalle mie, Lonesome Dove.

Il suo autore, Larry McMurtry, aveva voluto superare la mitologia del vecchio West (il romanzo era uscito negli Stati Uniti nel 1985, vincendo subito il Pulitzer e diventando un bestseller di proporzioni epiche, proprio come la sua trama) ma aveva finito per riscriverla completamente, più forte della precedente, offrendo ai ragazzi come allora era Bubba due modelli maschili a cui tendere e aderire. Uno più comunicativo e seducente, Gus appunto; l’altro più taciturno e combattuto, Call, l’anima cupa e solitaria del cowboy. La loro avventura era stata piena di donne e di corteggiamenti da emulare, soprattutto quella di Gus, a cui Bubba somigliava in modo così sconcertante che oggi non riesco quasi più a scindere le due figure. Ma ancor più lo era stata di ideali, di valori, di spinte e tormenti interiori che trovavano confronto e dialogo tutti in un unico elemento, il più importante di tutti, il più fedele, il più vicino: il proprio cavallo. Lonesome Dove è la storia di un’ostinata e ideale ricerca che celebra l’amicizia di due uomini tra loro e con i rispettivi cavalli.

Non mi sorprendo più, allora, a ripensare oggi a quello che invece quella mattina mi stupì infinitamente e che mai avrei dimenticato: nella stalla era andata in scena una storia, un gioco di parti consenziente e dal finale scontato. Fu solo quando Bubba montò sul suo cavallo e ci guidò tra le colline e le praterie del Texas che io compresi la misura della sua sensibilità, qualcosa di ben più solingo e misterioso di un gioco già giocato. Compresi la misura della sua pace e della sua lotta, una volta messo via ogni artificio e rimasto solo con i suoi elementi. Non erano le mosse, non era il corteggiamento, non era l’abbigliamento a fare la sua persona: era il suo cavallo. Anzi, la sua cavalla, un animale nobile del colore dell’erba dorata che ora attendeva in un angolo della stalla che il suo migliore amico la slegasse e la portasse con sé.

Da “Sparire qui” di Marta Ciccolari Micaldi (La McMusa), Rizzoli, 2023, 400 pagine, 18,50 euro.