Assistiamo alle prime giuste critiche alla cosiddetta riforma istituzionale orbaniana, e in questo contesto diventa prezioso approfondire il tema attraverso la lettura di un libro e la visione di un film. Il libro in questione è “Storie di diritti e democrazia” edito da Feltrinelli, e porta la firma di Giuliano Amato, già presidente della Corte Costituzionale, e di Donatella Stasio, giornalista esperta di diritto per La Stampa ed ex responsabile della comunicazione di Palazzo della Consulta. Il film invece si intitola “C’è ancora domani” ed è la struggente quanto sorprendente opera prima di Paola Cortellesi che sta riscuotendo un grande successo tra il pubblico italiano. Opere, contenuti e autori diversi, accomunati da un tratto comune: la capacità di commuovere parlando di diritto e di diritti.
Nonostante l’assonanza e la comune radice, «diritto» e «diritti» sono due termini diversi: il diritto, inteso come complesso di istituti e norme teoriche, non necessariamente coincide con i diritti, le garanzie che difendono i singoli cittadini dalle possibili ingerenze e violenze che la legge ingiusta (il diritto del più forte) può arrecare al più debole.
C’è una comune intuizione che guida il libro e il film: la necessità di spiegare in termini emotivi e diretti una realtà complessa come la Costituzione e cosa possono ancora dire il concetto di uguaglianza, autodeterminazione, il principio di legalità, la funzione rieducatrice della pena, alla comunità di disillusi e dimenticati che oggi si tiene pericolosamente lontana dalla democrazia.
Il libro di Amato e Stasio descrive e contestualizza le decisioni più eclatanti assunte dalla Corte Costituzionale negli ultimi anni, dal caso dj Fabo e il riconoscimento dei limiti al diritto al fine vita, alla cancellazione dell’ergastolo ostativo sino alla stepchild adoption (tutti argomenti trattati da questo giornale). Il loro obiettivo è spiegare le ragioni prese dalla Corte su argomenti così divisivi.
Non a caso gli autori ripercorrendo la drammatica vicenda del processo a Marco Cappato, accusato di aver favorito il suicidio di DJ Fabo, hanno richiamato l’altrettanto dolorosa decisione su Eluana Englaro assunta dalle sezioni unite della Cassazione che avevano riconosciuto la legittimità della decisione del padre di interrompere la vita della figlia, in esecuzione della volontà della giovane.
Una decisione sofferta contro cui si era scagliato il governo Berlusconi con una serie di ingerenze legislative con le quali si cercava di annullare gli effetti di una decisione giudiziaria compiutamente definita e alle quali l’allora presidente della Repubblica Napolitano si rifiutò di sottostare non firmando il Decreto Englaro. Forse non ce ne accorgemmo all’epoca ma quello scontro era già un’avvisaglia di un conflitto istituzionale che oggi conosce i momenti peggiori. E forse il ricordo di quei momenti drammatici ha pesato sull’iniziativa di riforma costituzionale di Giorgia Meloni che allora era ministro della Gioventù nell’ultimo governo di Silvio Berlusconi. Probabilmente lo stesso episodio è alla base dell’idea proposta da Stasio al presidente della Corte Paolo Grossi di fare un viaggio prima nelle scuole e nelle comunità e poi addirittura nelle carceri italiane per parlare ai detenuti, agli esseri umani sull’ultimo gradino della scala sociale, in molti casi senza neanche il diritto di voto.
Sotto la presidenza di Giorgio Lattanzi e Giuliano Amato l’iniziativa ha avuto attuazione e una delle pagine più toccanti del libro racconta l’incontro dell’attuale presidente della Corte Daria De Petris con una detenuta che l’espone la sua vicenda personale, una figlia disabile che non può assistere perché la legge prevede una deroga solo per le madri condannate con figlie di età inferiore ai dieci anni. La Consulta modificò la legge equiparando la condizione del figlio disabile a quella del minore non autosufficiente.
Qualcuno ha contestato una certa enfasi nel libro, e definito il viaggio una sorta di catechismo costituzionale didascalico e retorico, da parrocchia; ma va ricordato come la narrazione epica delle istituzioni altrove abbia attecchito: basti pensare a film come ”Il discorso del re” oppure alla serie televisiva americana “The West Wing “per rendersi conto che raccontare la politica ha un senso e che la narrazione spesso spieghi e anticipi i tempi. Magari qualcuno prima o poi analizzerà come House of Cards abbia anticipato la presidenza di Donald Trump e la crisi della democrazia americana quanto “The West Wing” ne ha invece celebrato il trionfo ai tempi della fine della storia e dell’illusione del trionfo irreversibile dello Stato di diritto.
Per capire invece quanto il discorso sia attuale anche da noi basta constatare il successo e l’emozione suscitati dal film di Cortellesi, che racconta l’incontro tra le donne dell’Italia del dopoguerra e della ricostruzione con la Costituzione e il riconoscimento del diritto al voto e della parità dei diritti. Con la giusta dose di retorica e sentimento, il film racconta un passaggio epocale e una presa di coscienza. Quello che oggi manca a questo paese.
Nel libro Giuliano Amato analizza le proteste del popolo israeliano in difesa della Costituzione contro un’ignobile riforma voluta da Benjamin Nethanyau per neutralizzare la corte costituzionale e il suo potere di vanificare le leggi che violino i diritti fondamentali. La storia tragica di Israele oggi è una conseguenza di un potere smisurato, usurpato da un politico oltre i limiti del diritto e la dimostrazione dell’illusorietà di una soluzione basata sul mito del leader forte.
Il rischio di una soluzione israeliana, ungherese o polacca si sta avvicinando anche in Italia: l’esperienza di quei paesi racconta benissimo come inizia l’erosione della democrazia tramite la deprivazione dei poteri delle istituzioni di garanzia. Si comincia col presidente della Repubblica e poi sarà la volta delle corti regolatrici del diritto con una opportuna modifica dei meccanismi elettorali al Consiglio superiore della magistratura in modo da regolare le nomine ai vertici.
Una certa idea di democrazia è ancora capace di parlare al popolo? Sembrerebbe di sì guardando al cinema la storia di Delia, donna umiliata come le sue coetanee nell’Italia patriarcale e fascista e tuttavia capaci di andare a votare in massa la prima volta che fu riconosciuto loro il diritto di voto, e quando furono chiamate a decidere su divorzio e aborto.
Mauro Zampini, ex segretario generale della Camera, in uno dei suoi vibranti editoriali parla di «un popolo sovrano irriso in quanto chiamato così privato della sua stessa funzione, quella di dare rappresentanza di sé e non di cederla a un’oligarchia di capipartito». Ecco quel sentimento di essere padroni di sé nel nome dei diritti non può essere morto, va risvegliato e raccontato finché si è ancora in tempo.