L’autunno comincia a farsi sentire sul mercato del lavoro italiano. L’abbuffata dei contratti a termine, cresciuti in concomitanza con la stagione turistica estiva, inizia a diradarsi. Gli ultimi dati Istat di settembre 2023 dicono che l’occupazione sì cresce, di quarantaduemila unità. Ma, come era prevedibile in un momento di forte incertezza economica, tanti dei contratti a tempo determinato in scadenza non vengono rinnovati. E in effetti la crescita del lavoro femminile e giovanile, registrata nel caldo agostano, tira il freno a mano.
Guardare solo al segno più mese su mese sarebbe riduttivo. Bisogna andare oltre per capire cosa sta accadendo e cosa potrebbe succedere.
A settembre l’occupazione cresce solo tra gli uomini, tra i quali si contano quarantottomila posti di lavoro in più. Le donne occupate sono invece seimila in meno. Le disoccupate aumentano di quarantamila unità, ma non è una cattiva notizia. Di fatto si tratta di un “travaso” dallo stato di inattività: quelle che prima non avevano e non cercavano un lavoro si sono messe a cercarlo (si contano infatti quarantamila donne inattive in meno). Bisognerà vedere se riusciranno a trovarlo, ma questa è un’altra storia.
Crescono gli occupati tra i giovani, ma meno dei colleghi anziani. Ci sono novemila posti in più fino a ventiquattro anni, quindicimila in più tra i venticinque e i trentaquattro anni, mentre gli over 50 vedono un aumento 27mila occupati. Soffre ancora la “generazione sandwich” tra i trentacinque e i quarantanove anni, che perde novemila occupati.
Come dicevamo, i contratti a termine hanno esaurito l’effetto traino estivo. Mentre ad agosto si erano registrati trentanovemila contratti a termine in più, stavolta diminuiscono di dodicimila unità. Intanto crescono di ventisettemila unità sia i dipendenti a tempo indeterminato sia gli autonomi. Dietro questi numeri potrebbero delle stabilizzazioni sì, ma anche tanti mancati rinnovi dei contratti in scadenza.
Già a luglio, infatti, con la produzione industriale in frenata e il comparto della costruzione che ha terminato la sua spinta, i dati segnalavano una diminuzione di occupati di più di settantamila unità, di cui oltre sessantamila contratti a termine conclusi. Ad agosto, poi, si è verificato un recupero di quasi quarantamila contratti, beneficiando del traino dei comparti ad alta stagionalità, come il turismo.
Ma ora il rallentamento della crescita economica torna a presentare il conto. Tant’è che a settembre 2023 le ore di cassa integrazione autorizzate dall’Inps sono state 37,8 milioni, il 62,7 per cento in più rispetto ad agosto e il 6,1 per cento in più rispetto a settembre 2022.
Il numero degli occupati si attesta a 23.656.000 e registra, rispetto a settembre 2022, un aumento di 443mila dipendenti permanenti e di 115mila autonomi. Mentre il numero dei dipendenti a termine risulta inferiore di quarantasettemila unità.
Al netto della componente demografica, rispetto a un anno fa, si vede che i giovani hanno perso quella spinta propulsiva che li vedeva protagonisti nel rimbalzo post pandemico. A guidare la crescita occupazionale sono gli over 50 con un +4,6 per cento, mentre gli under 35 crescono solo dell’1,8 per cento.
Il tasso di occupazione registra un altro record, al 61,7 per cento. Ma vale la pena ricordare che il nostro Paese continua a essere fanalino di coda in Europa. Persino la Grecia si posiziona più in alto di noi con il 61,8 per cento, a fronte di una media del 70,5 per cento. Con Paesi come come Germania, Svezia, Paesi Bassi e Danimarca che vanno oltre il 75 per cento. Per l’occupazione giovanile (15-24 anni), con il 20,5 per cento, siamo quartultimi tra i 27 Paesi Ue a fronte di una media europea più alta di quasi quindi punti percentuali. E pure l’occupazione femminile, arrivata al 52,5 per cento, resta sotto il 52,8 per cento della Grecia, contro una media europea del 65,6 per cento.
Difficile immaginare di ridurre la povertà o di garantire la sostenibilità del sistema previdenziale se solo poco più della metà delle donne lavora. Qualcuno festeggerà per il segno più dei dati Istat, ma c’è poco da festeggiare.