Ieri l’Académie Internationale de la Gastronomie mi ha premiato con il Prix Multimedia 2023: un riconoscimento che mi onora, e che premia il lavoro giornalistico sull’enogastronomia che stiamo portando avanti con costanza dal 2020 su queste pagine e che condivido con la redazione, che sostiene con me questo progetto. Il fatto che insieme a me ci fosse uno degli studiosi della storia del cibo che è stato uno dei miei più grandi riferimenti, il professor Alberto Capatti, ha reso la cerimonia ancora più toccante e preziosa. La premiazione è stata l’occasione di riflettere su come stia cambiando la comunicazione del cibo. Una delle domande che ha infervorato di più la platea è stata su TikTok, e sull’impossibilità di trovare su quella piattaforma contenuti di valore, anche in ambito enogastronomico.
Come dico da quando sono arrivati i social network, e come dicono quelli più bravi di me nel settore digitale, il problema non è il mezzo in sé, ma il suo utilizzo e le persone che lo popolano. Ma è ancora così? Una recente storia del professor Michele Antonio Fino mi ha fatto ricredere su questo postulato. Con il cambiamento dei presupposti, e con i nuovi algoritmi creati ad arte per far monetizzare i proprietari, le cose non vanno esattamente come ci siamo sempre immaginati. «Quando sentite un qualunque -ologo dire che ormai la vita online è come la vita off line, che non c’è più confine tra reale e virtuale, potete farvi una crassa risata. Non è vero niente. La vita online è il cartonato che Zuck, Elon e compagnia accrocchiano per voi, in modo che sia maggiormente profittevole per loro, fuori da ogni controllabilità e autenticità. La vita offline, invece, offre ancora miliardi di possibilità di incontro e scontro, condivisione e dialogo, divergenza e lite, amore e odio, che virtualmente, quando pure paiono esistere, devono sempre lasciarci un dubbio: chi c’è dietro?».
È come se fossimo anestetizzati, dentro a un meccanismo che pensiamo sia reale e invece è solo e unicamente un surrogato. Il confronto dal vivo, anche acceso, ma anche le informazioni che ci scambiamo parlando, o facendo esperienze insieme agli altri, non è nemmeno lontanamente paragonabile a quello che possiamo vivere online. Renderci conto di questa distanza diventa uno dei presupposti imprescindibili per rendere la nostra navigazione efficiente, e offrirci un’idea di mondo diversa da quella racchiusa dentro quella che consideravamo una bolla, e che invece è il risultato di una precisa azione ideologica e di marketing di chi manovra l’algoritmo.
Non c’è speranza? Forse sì, se impariamo a seguire le persone giuste, a cercare, invece di farci bastare ciecamente quello che ci compare in automatico. Potremmo iniziare da Kelsey Russell, 23 anni, che ha sempre avuto una passione per i media. Resasi conto di non essere tagliata per fare la giornalista, si è abbonata alla versione cartacea del New York Times ed è diventata una giornalista da TikTok. Ogni giorno, a colazione, riassume gli articoli del NYT, del Wall Street Journal o di USA Today per i suoi 85.000 abbonati, che intende convertire a questa pratica. Il conflitto israelo-palestinese, l’incriminazione di Trump, i migranti senza documenti nei cantieri olimpici: Kelsey non ha tabù su nessun argomento e il suo obiettivo è creare un ponte tra i diversi canali, cartacei e digitali, in modo che tutti trovino il loro mezzo ideale. Chissà se riusciremo a fare la stessa cosa anche per l’enogastronomia? Noi ci stiamo ragionando sopra.