Quei bravi ragazziLa lezione di Montanelli su come combattere la violenza di genere senza fanatismi

Nelll’Italia degli anni Sessanta, il grande giornalista descritto come «patriarcale» criticò il codice penale fascista vigente, sostenendo Franca Viola nel suo rifiuto di accettare un matrimonio riparatore dopo essere stata violentata, Un approccio non ideologico, ma finalizzato a ottenere risultati concreti per le donne

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Migliaia di donne hanno manifestato a Roma Sfilano per protestare contro la violenza di genere, contro la prevaricazione degli uomini, contro una concezione proprietaria e sopraffatrice delle relazioni personali. Ottima iniziativa, cui si aggiungono molti uomini ansiosi di espiare la colpa di appartenere al loro sesso, che secondo alcune teorie femministe espresse anche in modi pittoreschi, porterebbe in sé i germi di una connaturata ferocia verso il genere femminile. Sembra che dalla meritoria iniziativa sia esclusa ogni menzione delle violenze subite il 7 ottobre dalle donne israeliane stuprate e ammazzate dai terroristi Hamas, rimosse da ogni memoria e che hanno indotto una studiosa israeliana, Tamar Herzig, a denunciare, sul silenzio intorno a questa violenza «la volontà delle attiviste e delle organizzazioni femministe di abbandonare quello che era considerato il sacrosanto motto del #MeToo, ovvero “Io ti credo”».

Herzig accusa la deliberata spietata rimozione della tragedia che ha colpito le donne vittime del pogrom del 7 ottobre e che è arrivata a negare addirittura l’esistenza di quegli stupri e omicidi, così come le immagini di arti spezzati, membra insanguinate, di donne trascinate per i capelli dai terroristi di Hamas a cui si è espressa poi solidarietà come vittime di genocidio.

Chissà se è lecito in questo clima, per un pover’uomo esprimere solidarietà anche ad Herzig e a tutte le donne israeliane vittime di una violenza maschile altrettanto bruta e ottusa che meriterebbe una altrettanto dura condanna che non si è sentita a Roma e prima ancora. Chissà se è consentito in mezzo a tanti maschi penitenti che si battono affranti il petto, scusandosi di esistere, ricordare Indro Montanelli, uomo conservatore messo all’indice dopo aver raccontato di essersi comprato una moglie quindicenne nell’Africa dell’impero fascista, e un suo memorabile articolo ripubblicato su Sette in cui raccontava all’Italia del 1965 il caso di Franca Viola.

Franca Viola era una ragazza di Alcamo, nel sud più profondo e arretrato, rapita e violentata dal rampollo di una famiglia rispettata del posto. Il codice penale dell’epoca prevedeva una discriminante in caso di matrimonio graziosamente offerto dallo stupratore a rimedio del suo torto. Un uso frequente nell’arretrata società meridionale (e non solo) dell’epoca. Era l’espressione di una consuetudine, di un costume, di quelle regole per cui la stragrande maggioranza dei matrimoni, venivano “combinati” dalle famiglie, quando andava di lusso alle donne, sennò ove avessero voluto scegliere, c’era pure il rischio di essere violentate e costrette comunque a subire un’unione indesiderata con lo stupratore, pena il disonore. Franca Viola disse di no e denunciò il mascalzone che l’aveva violentata: al suo fianco il padre, umile contadino capace di ribellarsi pure lui, trascinato dall’eroismo di Franca.

Ecco Montanelli, uomo certamente «patriarcale» come bene lo descrisse la sua compagna Colette Rosselli, una che come giornalista donna si occupava di posta del cuore con lo pseudonimo di Donna Letizia, si schierò senza esitazioni non solo contro il violento, ma contro il codice penale fascista che contemplava allora norme vergognose come il matrimonio riparatore, il delitto d’onore e l’adulterio femminile che puniva solo il tradimento di lei e strizzava l’occhio all’uomo “cacciatore”.

Scriveva Montanelli che «Franca Viola e suo padre non hanno detto di no solo a Filippo Melodia (il rapitore). Hanno detto no a tutto un sistema di rapporti basato sulla sopraffazione del maschio sulla femmina. Hanno detto no a un onore confuso mussulmanescamente col sesso. Hanno detto no al diritto di strappare il consenso della donna con la violenza, hanno detto che lo stupro non è un surrogato dell’amore…hanno detto no a tutti i tabù e feticci che fanno da pilastro a queste arcaiche società». Egli incitò i giudici siciliani ad avere coraggio e condannare i violenti, come avvenne. Questo articolo lo scriveva all’Italia degli anni Sessanta che leggeva il Corriere della Sera, il paese benpensante e patriarcale che cercava ordine e morale. Ci voleva coraggio anche per scrivere queste cose e Montanelli lo ebbe.

Sia consentito a chi prova come uomo orrore per la violenza, a un uomo come tanti, coi suoi difetti e contraddizioni ribadire che se esiste la violenza di genere, la violenza sulle donne non è una colpa di genere, non è un marchio di infamia che discrimina milioni di maschi. E va ribadito che il fanatismo ideologico mascherato da intransigenza, qualunque siano i motivi che lo muovono, quello che condanna, isola e non distingue è solo puro veleno che non aiuta e non serve alla causa dei diritti.

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