Come giudicare il caso di un giornalino che non conosce nessuno, “Il Mattino di Puglia e Basilicata”, che se ne esce con un titolo pescato in purezza dalla più fetida e antica fogna della propaganda antisemita? Bisognerebbe, forse, giudicarlo secondo quel criterio: che non importa, perché a leggerlo sono tutt’al più i polpi e gli sgombri, la roba da incartocciare con quel foglio altrimenti inutile. Ma sarebbe un criterio sbagliato, esattamente come giudicare i giovanotti che ruttavano nelle birrerie di Monaco considerandone l’isolata irrilevanza.
Se non per altro, è perché ancora sono vivi coloro che furono bambini nelle scuole in cui il maestro ordinava agli allievi di sputare in faccia al compagno che «aveva ucciso Gesù Cristo», se non per altro è già solo per questa memoria che un titolo simile (ora vediamo qual è), per quanto grandeggi su un foglio sconosciuto e degno soltanto dell’immondezzaio, dovrebbe essere considerato molto seriamente.
Scrivere, anche se solo da un trivio di Puglia e Basilicata, e alludendo alle vittime infantili dei bombardamenti, che ci sono «6.150 Gesù uccisi da Israele», non rappresenta una contestazione dell’iniziativa israeliana dopo il pogrom del 7 ottobre e non serve in nessun modo a contrastarne le ragioni: rappresenta la vergognosa reiterazione della menzogna su cui si fondano secoli di persecuzione e serve ad attizzare l’odio discriminatorio e la violenza cui drammaticamente tocca assistere da alcune settimane in qua.
Ma non basta. Perché quella porcheria di titolo è la copia ridotta e vernacolare di una proclamazione più levigata e diffusa, e ben più accreditata: una infamia che in modo solo formalmente e grammaticalmente più inibito risuona negli spropositi dell’Onu secondo cui gli sgozzamenti, gli stupri e i rapimenti non vengono dal nulla e nelle divagazioni degli avvocati farlocchi sulla lobby ebraica che ha soggiogato le democrazie genocidiarie.
La risicata visibilità di una sconosciuta pubblicazione provinciale sarebbe consolante se non denunciasse un fenomeno più ampio, come lo scarafaggio che sbuca dal cesso denuncia la nidiata che infesta il ventre della casa. Ma appunto: più grave e pericoloso è il fatto che quella sguaiata e oscena enormità ridondi in forme appena più ritenute nelle riflessioni perfettamente rispettabili di tanto buon giornalismo di casa nostra ed estero, nelle fesserie geopolitologiche dei peggio tromboni su piazza, negli slogan dell’accademia embedded in Settembre nero. Senza il coro ufficiale che non li fa propri solo perché non sta bene, non ci sarebbero giornali «di Puglia e di Basilicata» con quei titoli.